Nell'omelia che ha tenuto a Palermo, Bergoglio ha voluto condannare la criminalità organizzata ricordando quanto sia incompatibile con la fede cristiana: "Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia"
“Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore”. È il monito che Papa Francesco ha pronunciato a Palermo, nella sua seconda visita in Sicilia, dopo quella del 2013, a Lampedusa, per denunciare il dramma dei profughi. Una condanna, quella pronunciata da Bergoglio nel capoluogo dell’isola, che richiama lo storico anatema di San Giovanni Paolo II ad Agrigento, nel 1993, un anno dopo gli omicidi dei magistrati anti mafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
“Oggi – ha affermato il Papa – abbiamo bisogno di uomini di amore, non di uomini di onore; di servizio, non di sopraffazione; di camminare insieme, non di rincorrere il potere. Se la litania mafiosa è ‘Tu non sai chi sono io’, quella cristiana è ‘Io ho bisogno di te’. Se la minaccia mafiosa è ‘Tu me la pagherai’, la preghiera cristiana è ‘Signore, aiutami ad amare’. Perciò ai mafiosi dico: cambiate! Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi, il sudario non ha tasche, non potete portare niente con voi. Convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo! Altrimenti, la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte”. La data scelta da Bergoglio per la sua visita a Piazza Armerina e Palermo non è casuale. Il Papa, infatti, ha deciso di tornare in Sicilia nel 25esimo anniversario della morte di don Pino Puglisi, il parroco del rione Brancaccio ucciso da Cosa Nostra per il suo attivismo contro le mafie, beatificato nel 2013.
Per Francesco “oggi siamo chiamati a scegliere da che parte stare: vivere per sé o donare la vita. Solo dando la vita si sconfigge il male. Don Pino lo insegna: non viveva per farsi vedere, non viveva di appelli anti-mafia, e nemmeno si accontentava di non far nulla di male, ma seminava il bene, tanto bene. La sua sembrava una logica perdente, mentre pareva vincente la logica del portafoglio. Ma padre Pino aveva ragione: la logica del dio-denaro è perdente. Guardiamoci dentro. Avere spinge sempre a volere: ho una cosa e subito ne voglio un’altra, e poi un’altra ancora, sempre di più, senza fine. Più hai, più vuoi: è una brutta dipendenza. Chi si gonfia di cose scoppia. Chi ama, invece, ritrova se stesso e scopre quanto è bello aiutare, servire, trova la gioia dentro e il sorriso fuori, come è stato per don Pino”.
Nella sua omelia il Papa ha ricordato che “venticinque anni fa come oggi, quando morì nel giorno del suo compleanno, coronò la sua vittoria col sorriso, con quel sorriso che non fece dormire di notte il suo uccisore, il quale disse: ‘c’era una specie di luce in quel sorriso’. Padre Pino era inerme, ma il suo sorriso trasmetteva la forza di Dio: non un bagliore accecante, ma una luce gentile che scava dentro e rischiara il cuore. È la luce dell’amore, del dono, del servizio. Abbiamo bisogno di tanti preti del sorriso, di cristiani del sorriso, non perché prendono le cose alla leggera, ma perché sono ricchi soltanto della gioia di Dio, perché credono nell’amore e vivono per servire. È dando la vita che si trova la gioia, perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.
Bergoglio ha sottolineato, inoltre, che “don Pino sapeva che rischiava, ma sapeva soprattutto che il pericolo vero nella vita è non rischiare, è vivacchiare tra comodità, mezzucci e scorciatoie. Dio ci liberi dal vivere al ribasso, accontentandoci di mezze verità. Dio ci liberi da una vita piccola, che gira attorno ai ‘piccioli’. Ci liberi dal pensare che tutto va bene se a me va bene. Ci liberi dal crederci giusti se non facciamo nulla per contrastare l’ingiustizia. Ci liberi dal crederci buoni solo perché non facciamo nulla di male. Signore, donaci il desiderio di fare il bene, di cercare la verità detestando la falsità, di scegliere il sacrificio e non la pigrizia, l’amore e non l’odio, il perdono e non la vendetta. Agli altri la vita si dà, non si toglie. Non si può credere in Dio e odiare il fratello”.
Francesco non è nuovo a forti condanne della mafia. Nel 2014, sulla piana di Sibari il Papa non ebbe timore a dire con chiarezza che “la Chiesa deve dire di no alla ‘ndrangheta. I mafiosi sono scomunicati”. Da qui la decisione del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale di elaborare un vademecum sulla scomunica per corruzione e associazione mafiosa per non lasciare senza alcuna linea guida i parroci e i vescovi e dare a tutti delle norme da applicare universalmente.
Anche nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, Francesco si era rivolto “in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene vi chiedo di cambiare vita. Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combattendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di pensare che la vita dipenda dal denaro e che di fronte a esso tutto il resto diventi privo di valore e di dignità. È solo un’illusione. Non portiamo il denaro con noi nell’aldilà. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui nessuno potrà sfuggire”.