Giugno 1998. Claudio Baglioni, per i suoi trent’anni di carriera, progetta un tour negli stadi chiamato Da me a te, con il palco al centro, come uno spettacolo totale in cui ogni spettatore possa vivere al meglio l’evento. Non è la prima volta che lo fa, ma questa è una ricorrenza speciale. La data di Roma è trasmessa da Rai Uno, però le cose non vanno benissimo. Per più di un motivo che prescinde dalla proverbiale meticolosità dell’artista, diversi spettatori del fans club ufficiale non hanno il trattamento loro prospettato.

In più, la resa non è all’altezza dei suoi standard e di ciò che aveva in testa. Baglioni ci rimane male, tanto che scrive una lunga lettera ai fans, per spiegare le sue ragioni. La lettera si può leggere integralmente qui. Scrive che l’idea era partita 16 anni prima: «Scopo: conquistare un ideale». Quale? «Occupare con la musica uno spazio nuovo, mai invaso interamente […]. L’ideale era entrare in quell’arena non da solo ma con un gruppo di persone “scelte” (voi che leggete) e, insieme, animare la notte più bella del mondo». È filologicamente pretestuoso dire che quella parola “arena” si riferisse già da allora proprio all’Arena di Verona; però, letta oggi, risulta di certo singolare e significativa. Io credo che dal 1998 quell’ideale sia diventato un cruccio di una persona scrupolosa, che per di più ama le sfide o, meglio, i duelli. Ma andiamo avanti.

Giugno 2004. Baglioni si laurea in Architettura a Roma. Non è secondario. In qualche modo, il percorso comincia a prendere forma, e il duellante affina le armi. Le canzoni di un cantautore che sa fare il proprio mestiere hanno dentro tutto il vissuto culturale di quell’artista: letture fatte, competenze musicali, studi affrontati (più o meno istituzionali), esperienze di vita e, ovviamente, genio creativo. L’idea di Claudio Enrico Paolo Baglioni – laureatosi in Architettura nel 2004 – non si limita certo semplicemente a una necessità di visione uniforme da parte degli spettatori.

Certo conta, ma non basta. Il palco al centro in un anfiteatro romano dei primi secoli dopo Cristo è una precisa rivendicazione artistica e culturale di finissima fattura. Si fa stile e poetica. Per chi conosce la storia professionale e musicale di Baglioni, è il culmine di un’idea “fisica” di musica, di suono negli spazi da concerto, della rivalutazione logistica che persegue la continua miglioria della resa artistica, unita alla forza (a un tempo centripeta e centrifuga) della sua figura, contigua al suo pubblico, sempre presente negli ultimi 50 anni della canzone italiana e trasversale nei vari generi: dal pop più empatico alla musica d’autore più raffinata e rigorosa.

Quelle canzoni, fatte lì, in quel modo, da Baglioni, sono altro: sono l’immaginario collettivo e l’arte musical-letteraria che si fondono. Il percorso non può prescindere dal duello tra l’accidia inerme e l’inventio dell’uomo-artista. Un duello che nel 1998 lo vide, se non sconfitto, di certo insoddisfatto: quel concerto non si doveva fare; allestirono l’Olimpico in tempi proibitivi. Baglioni accettò la sfida.

Come si sarà capito, “duello” è una parola chiave in questa storia. Io credo che il cantautore romano abbia compreso di aver bisogno di stimoli continui: quelli che non ha avuto nei primi 15 anni del terzo millennio, perso forse proprio nella ricerca del “concerto ideale”, nei luoghi dismessi o nei non-luoghi metropolitani, crescendo e cercando, prima di fare centro. Il duello è passato e passerà per Sanremo, per gli stimoli che solo il Festival sa dare. L’approdo dell’Arena di Verona è cruciale. Il nuovo disco di inediti di imminente uscita dovrebbe avere come titolo proprio Duello: un titolo che viene da lontano.

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