La nostra recente indagine girata in un allevamento di maiali della provincia di Ancona [qui le immagini] ha generato molto scalpore. E non poteva essere altrimenti, visto che tra le varie scene di maltrattamento il nostro infiltrato ha filmato anche l’uccisione a colpi di mazza di una scrofa, colpita per più di trenta minuti di agonia. Una scena di enorme violenza, che si configura come reato di maltrattamento e uccisione di animali.

L’abbiamo chiamato l’allevamento degli orrori e ne ha parlato perfino il Tg1. Il nostro obiettivo è che non ci si fermi a sanzioni e a un processo chissà quando nel tempo ma che le autorità locali revochino le autorizzazioni all’azienda e interdicano chi ha perpetrato quelle brutali uccisioni dal lavorare in futuro con gli animali.

I Carabinieri del Corpo Forestale dopotutto hanno confermato le nostre accuse, non trovando alcuno strumento a norma di legge per l’abbattimento di animali, sequestrando la mazza incriminata e, a quanto riportano i media, avendo anche alcune ammissioni da parte degli operatori. Quindi qui uccidere gli animali era prassi, come prova anche un dialogo registrato dal nostro investigatore e riportato dal Tg1 in cui una dipendente lamenta la mancanza della pistola e dice che non si può continuare così “non è umano prenderli a martellate”.

Perfino il Ministero della Salute in un suo comunicato stampa ha condannato l’allevamento, dichiarando che si evidenziano chiaramente i reati, e scritto che “anche attraverso l’audio si apprezzano vocalizzazioni strazianti che dimostrano chiaramente (…) l’insensibilità degli operatori”.

Stiamo raccogliendo firme perché la Procura e le Istituzioni chiudano questo posto, le cui violenze sono oltre ogni limite.

Ma allo stesso tempo vorremmo anche che ci si soffermasse a riflettere su come questo sia un caso forse più estremo, ma non troppo isolato. Abbiamo più volte documentato allevamenti di maiali, e di altri animali, in tutto il centro-nord, e ogni volta le immagini sono state ritenute scioccanti da chi le vedeva.

Non è nemmeno la prima volta che riscontriamo gravi maltrattamenti in un allevamento di maiali del circuito Prosciutto Dop, a testimonianza che non sono i soldi in più che paghiamo per quel marchio a garantire una vita migliore per gli animali.

Il problema, come diciamo sempre, è sistemico e come tale va trattato. Nel nostro paese vengono allevati e uccisi circa 600 milioni di animali l’anno, 8 milioni dei quali sono maiali. Per poter gestire tali numeri e per avere un prezzo conveniente gli animali devono vivere nel minor spazio possibile e ingrassare più velocemente. Sono le leggi dell’economia, che contrastano con le regole per il benessere di un qualunque animale.

È giusto e doveroso indignarsi per quella povera scrofa presa a martellate e per gli altri pungolati con taser elettrici. Ma non possiamo nemmeno condannare del tutto solo e unicamente questo allevamento senza voler andare a scoprire cosa succede poi in tutti gli altri.

Questo caso eclatante per noi è come il tappo di un simbolico vaso di pandora: che possa aprire alla scoperta di un orrore che non è solo tra le mura di un allevamento marchigiano ma anche nelle stesse leggi che permettono di tenere scrofe in gabbie a malapena più grandi del loro corpo e di mutilare i cuccioli tagliando loro code e i testicoli senza alcuna anestesia. Un orrore forse peggiore, perché non compiuto nell’oscurità e illegale, ma sfrontato e diffuso.

Perché è anche doveroso dire che fino a che un operatore di un allevamento vede che gli animali vengono trattati come oggetti, che verso i loro bisogni non c’è alcun interesse, il passo al maltrattamento gratuito è più facile.

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