Mai al Consiglio superiore della magistratura avevano vissuto momenti di tale impasse. Alla vigilia dell'insediamento del nuovo plenum, infatti, nessuno dei nuovi consiglieri di Palazzo dei Marescialli riesce ancora a capire chi possa essere un candidato credibile per la poltrona attualmente occupata da Giovanni Legnini. Una svolta potrebbe arrivare martedì 18 settembre, quando i neoeletti dalle varie correnti cominceranno a vedersi attorno a un tavolo
L’elezione del nuovo vicepresidente? “Non si riesce a capire ancora nulla”. Mai al Consiglio superiore della magistratura avevano vissuto momenti di tale impasse. Alla vigilia dell’insediamento del nuovo plenum, infatti, molti dei nuovi consiglieri di Palazzo dei Marescialli riesce ancora a capire chi possa essere un candidato credibile per la poltrona attualmente occupata da Giovanni Legnini. Una svolta potrebbe arrivare martedì 18 settembre, quando i consiglieri neoeletti dalle varie correnti cominceranno a sedersi attorno a un tavolo. Per eleggere il nuovo vicepresidente, infatti, è fondamentale capire l’orientamento dei togati, cioè i 16 magistrati eletti dai colleghi nell’organo di autogoverno. Negli ultimi anni le varie correnti si erano sempre orientate su un unico nome laico che è poi quello del consigliere indicato dal principale partito di governo. Così era stato per Legnini, già componente dell’esecutivo di Matteo Renzi, e anche per Michele Vietti, ex sottosegretario di Silvio Berlusconi, solo per fermarsi agli ultimi precedenti. A questo giro, però, il Movimento 5 stelle non ha mai fatto pervenire indicazioni particolari su nessuno dei tre consiglieri laici che ha eletto nel luglio scorso. Il più accreditato potrebbe essere Filippo Donati, che insegna costituzionale a Firenze ed è proveniente dal centrosinistra: nel 2016 era favorevole alla riforma di Matteo Renzi. Più di recente, invece, ha tenuto buoni rapporti con il premier Giuseppe Conte e con il guardasigilli Alfredo Bonafede, entrambi professionisti nel capoluogo toscano.
L’investitura mancata – I vertici del Movimento, però, non hanno ancora trasmesso alcuna preferenza: né per Donati e neanche per Alberto Maria Benedetti e Fulvio Gigliotti, gli altri due docenti di area pentastellata eletti dal Parlamento al Csm. Un modo per non colorare politicamente il voto del nuovo plenum, che si insedierà il prossimo 25 settembre e dovrà eleggere il vicepresidente 48 ore dopo. A dieci giorni dal voto, dunque, tutti i tre consiglieri del M5s sono formalmente in corsa. Insieme agli altri cinque consiglieri laici. Rimarrebbero esclusi, in teoria, Emanuele Basile e Stefano Cavanna , gli eletti della Lega considerati fuori dai giochi visti i recenti attacchi di Matteo Salvini nei confronti della magistratura. E proprio per rispondere al leader del Carroccio che i consiglieri togati vorrebbero mostrarsi compatti votando insieme un unico candidato. Ipotesi che allo stato appare difficile.
L’incontro di Arcore e un presidente di minoranza – Il risultato è che a questo giro il nuovo vicepresidente di Palazzo dei Marescialli potrebbe essere espressione di minoranza. Frutto di un vero e proprio accordo tra un pezzo di togati e alcuni laici. Non è passato inosservato, infatti, l’incontro di domenica sera tra Berlusconi e Salvini. I retroscena parlano di un faccia a faccia per discutere del via libera a Marcello Foa al vertice della Rai in cambio di non meglio precisate “garanzie” all’ex premier sul piano delle inserzioni pubblicitarie nelle reti Mediaset. È noto da settimane, però, come alla poltrona da vicepresidente si sia candidato Alessio Lanzi, professore di penale tributario a Milano eletto da Forza Italia: è l’ex avvocato di David Mills (prescritto per avere incassato denaro in nero da Silvio Berlusconi) e Fedele Confalonieri. Per provare a creare una maggioranza sul suo nome, il legale – come ha raccontato Il Fatto – ha incontrato nelle scorse settimane Antonello Racanelli e Giuseppe Cascini. Il primo è il segretario di Magistratura Indipendente, corrente moderata di centrodestra, titolare di un vero e proprio exploit alle ultime elezioni con cinque seggi conquistati in consiglio. Il secondo è stato segretario dell’Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe, ed è stato eletto al Csm con Area, la corrente di centrosinistra, che invece ha perso tre dei suoi sette consiglieri. Gli incontri di Lanzi sono un tentativo di creare una maggioranza bipartisan.
Le alchimie di corrente – Anche perché è noto come in Magistratura Indipendente un ruolo lo giochi ancora Cosimo Ferri, una sorta di “uomo cerniera” tra politica e magistratura. Figlio d’arte – anche il padre Enrico fu leader di Magistratura Indipendente e quindi parlamentare e ministro con il Psdi – Ferri passò dal vertice della sua corrente a un posto al governo: fu nominato infatti sottosegretario alla giustizia dei governi Letta, confermato poi da Renzi e Gentiloni. Considerato all’inizio in quota Forza Italia – partito al quale ha aderito il padre negli anni ’90 – non si dimise dopo che Berlusconi tolse il sostegno a Letta definendosi un tecnico. Nel 2014 fecero scalpore gli sms inviati ai suoi colleghi magistrati per invitarli a votare al Csm i candidati di Magistratura Indipendente, la corrente di cui è stato segretario generale. E che ha sostenuto anche durante l’ultima campagna elettorale, quand’era ormai deputato eletto dal Pd.
La conta dei voti: 12 già blindati – Anche per questo motivo la sua doppia veste – parlamentare dei dem e storico leader ancora molto ascoltato in Mi – potrebbe essere fondamentale per legare i cinque voti dei togati di Magistratura indipendente con i quattro di Area. A questi si aggiungerebbero i voti dei due laici di Forza Italia più quello di David Ermini, eletto al Csm dal Pd. Il totale fa dodici preferenze, solo due in meno rispetto ai quattordici della maggioranza assoluta che servono per eleggere il vicepresidente alle prime due votazioni. Una soglia che potrebbe essere raggiunta con un nome meno divisivo da quello di Lanzi, troppo connotato in chiave berlusconiana per i suoi trascorsi da legale di Mills e Confalonieri. Stessa obiezione che viene mossa sul nome Michele Cerabona, già avvocato dell’ex presidente del consiglio nel processo sulla compravendita dei senatori finito in prescrizione. Proprio per questo motivo potrebbe acquisire peso proprio il nome di Ermini, il deputato piazzato a suo tempo da Renzi al vertice del dipartimento giustizia del Pd: una candidatura che i cinque togati di Unicost, altra corrente moderata, potrebbero pure decidere di votare. In questo modo rimarrebbero spiazzati sia i 5 stelle che i due togati di Autonomia e Indipendenza, la corrente di Piercamillo Davigo che ha eletto a Palazzo dei Marescialli anche Sebastiano Ardita. E il Csm avrebbe un presidente non indicato dai partiti di maggioranza. Sempre che nel frattempo qualcuno tra i 5 stelle non riesca a trovare la quadra e a ricondurre i voti su Donati. Un imprinting politico necessario quello sul professore fiorentino per evitare un blitz che rivitalizzerebbe le larghe intese dentro le mura di Palazzo dei Marescialli.