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Erdogan, un Salvini che ce l’ha fatta (per il momento)

Lo scorso fine settimana ho partecipato alla Conferenza sullo stato d’emergenza e il potere giudiziario in Turchia organizzata ad Istanbul da una serie di associazioni di avvocati e magistrati. Da tale Conferenza è emerso un quadro molto preciso ed inquietante dell’azione svolta sistematicamente da Erdogan da vari anni a questa parte per demolire lo Stato di diritto ed eliminare ogni possibilità di democrazia.

Mediante centinaia di arresti e migliaia di licenziamenti che hanno colpito e continuano a colpire avvocati, magistrati, giornalisti, professori universitari ed intellettuali in genere, l’aspirante Sultano intende affermare il suo ruolo di unico interprete autorizzato della volontà popolare, coartata con la repressione poliziesca e deformata mediante un controllo capillare dei mezzi di comunicazione di massa. Questo per consolidare un regime fondato sull’esclusione di settori considerevoli della popolazione tra i quali i Kurdi, gli Alaviti e molti altri e sulla sottomissione dei ceti popolari in genere. Alla repressione verso l’interno Erdogan unisce l’aggressione verso l’esterno, come dimostrato dalla guerra senza quartiere contro i Kurdi che sconfina in Siria ed altrove con la commissione di veri e propri crimini di guerra e contro l’umanità.

L’andamento del processo contro i dirigenti dell’associazione dei giuristi progressisti che si è aperto lunedì 10 settembre ad Istanbul conferma questa situazione di grave crisi dello Stato di diritto: liberati dopo le prime udienze, gli avvocati imputati sono stati quasi tutti prontamente riarrestati su istanza del pubblico ministero, evidentemente allertato dal governo.

In Italia viviamo una situazione fortunatamente differente, anche se stiamo facendo di tutto per disperdere il patrimonio di garanzie accumulato dalle generazioni precedenti attraverso dure lotte e sforzi incessanti a partire dalla Resistenza antifascista e anche se, pure da noi, la condizione dei diritti lascia alquanto a desiderare.

Colpisce tuttavia una certa comunanza dell’ispirazione maggioritaria, volta a travolgere le garanzie dello Stato di diritto, tra le quali la necessaria indipendenza della magistratura, in nome dell’investitura plebiscitaria che vorrebbe attribuire a un leader suppostamente scelto dal popolo poteri illimitati e incontrastati. Tale vocazione maggioritaria ha avuto negli ultimi anni anche in Italia vari interpreti più o meno fortunati: dal Berlusconi unto del signore ai promotori delle leggi elettorali maggioritarie, dal Renzi che voleva ridisegnare il Parlamento a sua immagine e somiglianza all’attuale Salvini che per essere eletto dal popolo e consacrato dai sondaggi si vorrebbe oggi al di sopra delle leggi e dei giudici.

Comune ad Erdogan e agli esempi italioti appena menzionati è il sogno di un potere esecutivo sganciato da lacci, vincoli e controlli è libero di fare come crede, nel nome degli interessi del popolo ma senza alcun meccanismo in grado di garantire che tali interessi, per definizione plurali e a volte contrapposti tra di loro, siano effettivamente soddisfatti.

La situazione deplorevole in cui si trova anche la Turchia parla quindi anche di noi. Grandi sono del resto le responsabilità dell’Unione europea che continua sostanzialmente ad appoggiare il regime di Erdogan, così come tollera quelli, anch’essi autoritari, di Orban e di altri. L’Europa ideale dei cosiddetti sovranisti è quella di un insieme di Stati giustapposti privi di una visione comune. Si può immaginare che, di fronte ad un’Unione disgregata, il capitale finanziario che oggi fa i bello e cattivo tempo a Bruxelles e dintorni grazie alle politiche neoliberali degli eurocrati ostaggi delle lobby incrementerà ulteriormente il suo dominio.

Paradossalmente Salvini ha voluto citare, a sproposito, la Turchia, per criticare le varie decisioni giudiziarie sul tesoretto dei 49 milioni indebitamente incamerato dalla Lega. La realtà è del tutto all’opposto. Sono i politici come Erdogan e Salvini che soffrono il potere giudiziario e i suoi controlli e vorrebbero demolirli. Anche per introdurre “nuove” forme di unità e identità popolare basate sull’esaltazione del leader e l’esclusione dei diversi, cui occorre contrapporre le aspirazioni democratiche dei popoli volte al rafforzamento delle garanzie e alla realizzazione dei diritti.