“Una pagina buia per il nostro Paese” che diede “inizio a una persecuzione di tantissimi innocenti“. Nell’80esimo anniversario del giorno in cui Benito Mussolini annunciò da Trieste l’ormai imminente la promulgazione delle leggi razziali, il premier Giuseppe Conte invita in un tweet a “serbare memoria di questa ferita” così da “ricordare per non dimenticare”.


Il primo decreto legge fu autorizzato il 5 settembre e ordinò l’esclusione degli ebrei dalle scuole. Il re Vittorio Emanuele lo firmò nella sua villa nella tenuta di San Rossore, in Toscana, dopo una colazione e una passeggiata fino al mareMussolini non subì la scelta, la preparò, la propose e la sostenne. Le leggi razziali furono una decisione deliberata, sostenuta e accettata da tutti gli apparati dello Stato, fino dai suoi vertici, compreso il capo di Casa Savoia.

Nell’agosto del 1938 era già nata la Difesa della Razza, un quindicinale sostenuto economicamente dal fascismo e diretto da uno dei giornalisti più attivi nella polemica antisemita, Telesio Interlandi. È lì che viene pubblicato per la seconda volta in due settimane il Manifesto della razza, la prima era stata sul Giornale d’Italia. È firmato da 10 scienziati, due dei quali zoologi. “Il Duce – scrive sul suo diario Galeazzo Ciano, genero e ministro di Mussolini – mi dice che in realtà l’ha quasi completamente redatto lui”.

Poi il discorso a Trieste, il 18 settembre: “Nei riguardi della politica interna il problema di scottante attualità è quello razziale – sottolinea ad un certo punto – Anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie. Coloro i  quali fanno credere che noi abbiamo obbedito ad imitazioni, o peggio, a suggestioni, sono dei poveri deficienti, ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà”.

Il “problema razziale”, così lo chiama, “non è scoppiato all’improvviso, come pensano coloro i quali sono abituati ai bruschi risvegli, perché sono abituati ai lunghi sonni poltroni. È in relazione con la conquista dell’Impero, poiché la storia ci insegna che gli Imperi si conquistano con le armi, ma si tengono col prestigio. E per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime. Il problema ebraico non è dunque che un aspetto di questo fenomeno”. Poche settimane dopo, il 6 ottobre, il Gran Consiglio del fascismo, approva la “Dichiarazione sulla razza”. In 5 anni i decreti razziali saranno circa 180. I primi sono più vessatori di quelle in Germania: gli studenti ebrei in Italia per esempio sono espulsi dalle scuole prima di quelli in Germania. Uno degli ultimi obbliga gli ebrei al lavoro coatto.

Negli scorsi giorni, proprio a Trieste, il sindaco di centrodestra Roberto Dipiazza non ha gradito il manifesto con una foto d’epoca di tre ragazze in grembiule scolastico e i libri sotto braccio, a cui è sovrapposta in trasparenza la riproduzione della prima pagina del quotidiano “Il Piccolo” che titola: “Completa eliminazione dalla scuola fascista degli insegnanti e degli alunni ebrei”. Avrebbe dovuto essere il manifesto di una mostra dedicata al “Razzismo in cattedra” che è stata preparata dagli allievi del liceo Petrarca. Ma Dipiazza (“Dico io, dobbiamo ancora sollevare quelle cose?”) non ha apprezzato quel riferimento preciso ed esplicito a una delle leggi più inique del fascismo e l’evento, alla fine, è saltato.

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