di Derek

Il talento è un regalo che riceviamo dalla nascita, ma non dai nostri genitori: ci tocca. Ognuno può attribuirlo a chi vuole e in attesa che la scienza ci possa chiarire possiamo solo prenderne atto (e non sempre riusciamo a farlo) e agire di conseguenza. La scelta che abbiamo quando scopriamo il talento è duplice. Possiamo far finta di niente, ignorarlo, snobbarlo, sotterrarlo. Oppure possiamo coltivarlo, svilupparlo e farlo fruttare. E così con sudore e fatica, ma baciati dalla fortuna di aver potuto contare su un determinato talento, possiamo perfino avere successo, diventare famosi e riconosciuti. Lo vediamo quotidianamente nel modo dello sport e delle arti.

Da un paio di anni le mie figlie studiano musica, una chitarra classica, la seconda il violoncello.  Entrare in questo mondo mi ha portato a toccare un altro aspetto importante, ma non scontato, del talento: la condivisione. Alla fine del primo anno di corso, chiedemmo all’insegnante di violoncello la disponibilità a tenere qualche lezione durante l’estate. Lui fu molto gentile e quando fu il momento di pagarlo si rifiutò. Mi disse che a suo tempo, quando era lui uno studente, il suo maestro gli aveva fatto lezioni extra gratis perché era bravo e voleva farlo migliorare e ora era il suo turno di rendere questo servizio. La motivazione mi face pensare.

Negli stessi giorni andammo a vedere un concerto di Mario Brunello sulle dolomiti, alle 6 di mattina, a 2500 metri. Fu emozionante ascoltare il concerto mentre il sole iniziava a illuminare le cime delle montagne che ci facevano da teatro. Poi Brunello finito il concerto si incamminò col suo prezioso RedCello in spalla, nel sentiero sassoso insieme a tutti noi. Perché uno dei nostri violoncellisti più famosi nel mondo si dava da fare per un evento simile? Non poteva essere solo l’amore per la montagna e il cachet. Perché andare per sentieri è pericoloso, puoi cadere, farti male e compromettere una data ben più importante economicamente o magari danneggiare il tuo antico e prezioso strumento.

Quest’anno forse ho capito. Abbiamo spedito mia figlia alla reunion dei 100Cellos che si tenuta in questi giorni a Palermo. Un progetto incredibile di Giovanni Sollima e Enrico Melozzi, due violoncellisti che non hanno nessun problema a riempire i teatri che però hanno sentito il bisogno di creare questo ensemble fluido e aperto a tutti. E così mentre scrivo mia figlia e altri 100 violoncellisti di livelli ed età diversi stanno provando per il concerto di domenica sera. Le sole cosa richieste sono passione per lo strumento, voglia di stare insieme e una maglietta, uguale per tutti. E tra prove estenuanti e flash mob mia figlia si è trovata a poter suonare all’Ucciardone e intrattenere un Teatro di Verdura gremito.

Dare la possibilità a giovani, ma anche a violoncellisti già formati, di suonare tutti insieme con musicisti di calibro internazionale, in luoghi in cui forse non capiterà mai più di poter suonare è l’essenza di quello che intendevo: è un modo per restituire agli altri quello che si è avuto ricevendo il talento. È un modo per mettere a frutto il lavoro fatto per svilupparlo e incoraggiare chi dovesse avere un simile dono a coltivarlo, mettendosi sul suo piano (tutti con la stessa maglietta) e non su un piedistallo.

Per un aspirante violoncellista dividere il palco con Sollima e accompagnarlo in un suo pezzo può essere come per un aspirante calciatore poter giocare con Messi e magari fargli l’assist per un gol.
In un Paese in cui per una famiglia è più facile detrarre dalle tasse le spese per la scuola di calcio che quelle per la scuola di musica è davvero un’opportunità incredibile ed è l’esatto contrario di quello che siamo abituati a vedere: artisti (e anche cuochi a dire il vero) di successo che fanno i maestri nei talent show. Per questo lunga vita e infinita gratitudine ai 100Cellos e a tutti coloro che cercano e trovano un modo per restituire in qualche modo il talento che hanno ricevuto.

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