Quando gli chiedi cosa significa essere emigrante Ciro sospira, poi sorride: “Vuol dire sacrificio, difficoltà, momenti di sconforto. Vuol dire sentire la mancanza della tua famiglia. Però, allo stesso tempo, significa essere incredibilmente orgogliosi delle proprie origini e farne un valore aggiunto”. Ciro Pirone ha 42 anni, è originario di Salerno e vive a Boston da quasi 20 anni. La prima volta che ha lasciato l’Italia è stata subito dopo il liceo, direzione Londra: “Volevo fare le mie esperienze, migliorare il mio inglese e formarmi nel settore in cui avevo studiato”. Oggi è responsabile del portafoglio di numerose aziende vinicole italiane negli Usa e dice: “Il mio sogno americano sì è avverato”.
Quando è partito, però, Ciro non stava “scappando dall’Italia“. Dopo un diploma in un istituto alberghiero, le prime esperienze a Londra, la gavetta tra Sardegna e costiera amalfitana. “Avevo tantissima voglia di imparare – ricorda –. Viaggiavo continuamente per lavoro, tra giornate infinite, colloqui dopo ore di treno interminabili, stagioni turistiche estenuanti”. Nel 1999, così, la scelta di tentare la strada per l’America. “A Boston ho trovato una seconda casa: città cosmopolita, ma molto europea”, racconta. Anche se non tutto è filato liscio come si potrebbe pensare: “All’inizio i momenti di solitudine erano tanti. Non sono potuto rientrare in Italia per oltre 5 anni, finché non ho ottenuto la green card e più avanti la cittadinanza americana”.
Oggi Ciro lavora come responsabile di settore per una grande azienda di distribuzione del vino nel New England. “Sono spesso in giro, faccio tanti chilometri, visito clienti, faccio di tutto per educare ristoratori all’eccellenza del vino italiano”. Differenze con l’Italia? In primis il senso civico “innato”, passando dal rispetto per il pubblico e la natura “all’attaccamento spasmodico per la bandiera”.
Tornare vorrebbe dire buttare al vento tutto, senza alcuna garanzia. E poi non vedo un futuro per i miei figli
E i costi? Ci sono dei vantaggi anche dal punto di vista economico? “Viviamo a Boston, nello Stato del Massachusetts, uno dei più ricchi e all’avanguardia per ospedali, scuole e servizi. Però qui nulla è regalato”, spiega Ciro. Allo stesso tempo, aggiunge, esiste anche un’altra America, quella dei mestieri poveri e degli stipendi bassissimi che costringe a “vivere in difficoltà tanti americani”. Il livello di produttività richiesto è altissimo, si può crescere enormemente in un breve periodo se ti impegni seriamente. Insomma, “qui ci si basa sulla meritocrazia – continua Ciro –. Non importa la provenienza, quanta poca esperienza tu possa avere all’inizio o la scarsa padronanza della lingua: gli americani credono nel valore umano e ti danno fiducia. Sta poi a te fare bene e realizzare il tuo sogno”.
La famiglia di Ciro oggi è a Boston: sposato con Ann e padre di due bambini, Marcello (6 anni) e Valentina (di 4) con cui parla “esclusivamente in italiano” perché possano sentirsi orgogliosi delle proprie origini e valutare, in futuro, un’esperienza in Italia. Tornare a Salerno, per ora, non è un’opzione contemplata. “Qui mi sento in debito con le tante persone che mi hanno aiutato a diventare quello che sono oggi. Spero di continuare a crescere: nel mondo del vino c’è un margine enorme – continua –. Veniamo in Italia in vacanza, ma tornare definitivamente vorrebbe dire buttare al vento tutto, senza alcuna garanzia. E poi non vedo un futuro per i miei figli”.
Se hai delle possibilità te le devi andare a cercare dove ti vengono offerte
Grazie al suo lavoro Ciro si sente orgogliosamente italiano, racconta le storie di “tanti connazionali che si danno da fare” per produrre e difendere il made in Italy nel mondo. Più che un difensore si sente un ambasciatore del tricolore. “È vero, a volte sogno romanticamente di tornare. Poi vedendo quello che accade nel mio Paese mi rendo conto che non potrei mai rinunciare alla meritocrazia e alla possibilità di realizzare i miei sogni senza chiedere favori o il permesso a qualcuno”. E ci tiene a precisare una cosa: “No, non sono uno di quelli che dice a tutti di scappare dal proprio Paese. Ma se hai delle possibilità te le devi andare a cercare dove ti vengono offerte. In Italia c’è troppa corruzione, troppa voglia di mantenere le cose in una condizione stagnante. E la politica degli ultimi vent’anni – conclude – ha fatto credere che essere più furbi vuol dire essere più intelligenti. No, non è così: io non dimentico i sacrifici fatti”.