“La flat tax? Va finanziata con un riordino profondo delle tax expenditure“. Cioè la giungla di deduzioni, detrazioni, esenzioni e regimi speciali che quest’anno costeranno alle casse pubbliche oltre 75 miliardi. A rilanciare la necessità di intervenire con l’accetta è stato il ministro dell’Economia Giovanni Tria. E, al netto dei contrasti degli ultimi giorni, per il titolare del Tesoro non dovrebbe essere difficile incassare il consenso di Movimento 5 Stelle e Lega su una proposta del genere: Luigi Di Maio a gennaio aveva individuato proprio nel taglio delle agevolazioni fiscali la principale fonte di coperture per il programma M5s, quantificando in 40 miliardi le risorse recuperabili. Nel contratto di governo è poi stata inserita nero su bianco la “revisione del sistema delle deduzioni e detrazioni”. Un sistema che negli anni è arrivato a comprendere 636 voci. Alcune “sensibili” e politicamente impossibili da toccare, vedi gli sconti per la prima casa e le spese sanitarie. Ma altre assorbono risorse a vantaggio di pochissimi soggetti o sono state ufficialmente catalogate come “dannose per l’ambiente“. Per cui sarebbero facilmente aggredibili da parte di un governo disposto a mettere in conto le proteste di qualche lobby, dagli autotrasportatori agli armatori passando per i produttori di mobili e elettrodomestici.
A fare il punto sullo stato dell’arte delle agevolazioni fiscali – sul cui mancato taglio si consumò nel 2015 la rottura tra il governo Renzi e il commissario alla spending review Roberto Perotti – ci ha pensato l’Ufficio valutazione impatto del Senato, che ha appena pubblicato sul proprio sito un dossier ad hoc. Il rapporto elaborato dalla Commissione sulle spese fiscali presso la presidenza del consiglio, ricorda l’organismo di controllo, ha individuato 466 spese fiscali erariali e 170 locali per un totale di 75,2 miliardi di minori introiti per lo Stato. Solo tra 1 gennaio 2016 e 30 giugno 2017 (governi Renzi e Gentiloni) ne sono state introdotte 44, dalla detassazione dei premi di produttività al superammortamento alla cedolare secca sugli affitti, per 4,8 miliardi di minori entrate. Ma il vero nodo riguarda la ripartizione dei vantaggi.
Solo tre agevolazioni vanno a più di 10 milioni di contribuenti – Dal Focus dell’organo di Palazzo Madama emerge che tre sole agevolazioni vanno a beneficio di più di 10 milioni di contribuenti: si tratta della deduzione della rendita della prima casa (26,1 milioni di beneficiari per 141,4 euro di vantaggio pro capite e un costo di 3,6 miliardi), della detrazione per spese sanitarie e di assistenza (che costa allo Stato 3,1 miliardi e consente a 17,5 milioni di persone di risparmiare in media 178 euro) e del bonus 80 euro di Renzi che come è noto costa circa 9 miliardi e va a 11 milioni di italiani, al netto di quelli che hanno dovuto restituirlo.
All’autotrasporto 1,2 miliardi di rimborsi. E le compagnie aeree ne risparmiano 1,5 – Va da sé che tagliare quegli sgravi è improponibile, come dimostrato dalle levate di scudi di fronte all’ipotesi di eliminare gli 80 euro renziani. Quei 16 miliardi vanno quindi lasciati fuori dal riordino. Altrettanto impopolare sarebbe toccare l‘esonero delle prime case dalla Tasi, che costa 3,5 miliardi, o la detrazione per le spese di istruzione (450 milioni l’anno). Nel lungo catalogo delle agevolazioni ci sono però anche incentivi e bonus che avvantaggiano comparti non esattamente bisognosi di sostegno pubblico. Basti pensare all’autotrasporto, che ogni anno incassa 1,2 miliardi di euro sotto forma di “rimborso del maggior onere derivante dall’aumento dell’accisa sul gasolio impiegato come carburante a partire dal 2000 e per i provvedimenti successivi di aumento”. Il ministero dell’Ambiente ha inserito questo sussidio tra quelli “ambientalmente dannosi” (SAD), insieme a una lista di altri 56 che in tutto sottraggono 16,2 miliardi l’anno.
Nel catalogo ci sono, tra il resto, l’esenzione dall’accisa sui prodotti energetici impiegati come carburanti per la navigazione aerea, che costa ben 1,5 miliardi l’anno, l’aliquota ridotta sui prodotti energetici usati nei lavori agricoli e nell’allevamento (830 milioni l’anno) e l’accisa agevolata sul gasolio. Di quest’ultima beneficiano tutti gli automobilisti, per cui ritoccarla all’insù sarebbe politicamente rischioso. Ma costa la bellezza di 4,9 miliardi l’anno e il ministero dell’Ambiente ha fatto notare che “comporta notevoli distorsioni, andando a incentivare l’utilizzo di un carburante rispetto al quale la normativa comunitaria sui limiti alle emissioni ha storicamente richiesto limiti più elevati rispetto a quelli per i veicoli a benzina”. Al contrario gli incentivi per l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili costano sì 5,7 miliardi, ma riducono le emissioni e la dipendenza energetica dall’estero.
Quei 276 milioni agli armatori – L’Ufficio di valutazione di impatto del Senato sottolinea anche che nove agevolazioni garantiscono vantaggi pro capite superiori a 60mila euro a pochissimi soggetti. Per esempio la tassazione ridotta sugli “apporti ai fondi immobiliari chiusi” costerà quest’anno oltre 790mila euro all’erario e a beneficiarne sono solo quattro società. E ancora: la tonnage tax, un’agevolazione fiscale per gli armatori, permette a 79 aziende di risparmiare 467mila euro l’una, mentre l’imposta forfettaria sulle navi commerciali iscritte al registro internazionale garantisce 234mila euro di vantaggi pro capite a 90 imprese marittime. Tra crediti di imposta e forfait, i favori agli armatori costano 276 milioni l’anno. Più di sette volte la cifra (34 milioni l’anno) stanziata per la deduzione delle donazioni a ong e onlus.
Per il bonus mobili 272 milioni – Tutta da valutare, poi, la necessità di mantenere in campo incentivi come il bonus mobili e grandi elettrodomestici per chi ristruttura casa, che costa 272 milioni l’anno ma solo in piccola parte va a beneficio di aziende italiane, e del “bonus verde” per rinnovare giardini e terrazzi. Soprattutto se si pensa che le agevolazioni sotto la voce “casa e assetto urbanistico” costeranno quest’anno oltre 18 miliardi, con le detrazioni per ristrutturazioni edilizie a fare la parte del leone (6 miliardi di mancati introiti fiscali) seguite dagli interventi di riqualificazione energetica, che costano allo Stato 1,6 miliardi l’anno ma migliorano le prestazioni del parco edifici che è ancora il principale responsabile dell’inquinamento dell’aria.