Google sta sviluppando una versione del suo motore di ricerca adeguato al grande firewall cinese, vale a dire al sistema di controllo e censura messo in piedi da Pechino per controllare il traffico online e filtrare le informazioni accessibili ai cittadini. La nuova versione, nota come Dragonfly, associa le ricerche al numero di telefono che si sta usando per farle. L’azienda ha cercato di smorzare i toni parlando di un progetto lontano dalla conclusione.

A rivelarlo è stato The Intercept, testata investigativa che più volte ha fatto emergere informazioni che avrebbero dovuto restare segrete. Il loro reportage specifica che così facendo Google faciliterebbe la vita ai responsabili della censura governativa cinese, favorendo loro il numero telefonico dei possibili dissidenti.

Sede pechinese di Google (Foto: Depositphotos)

 

“Ciò è molto problematico dal punto di vista della privacy, perché permetterebbe una profilazione molto più dettagliata delle persone”, ha commentato Cynthia Wong di Human Rights Watch. “Collegare le ricerche a un numero di telefono renderebbe molto più difficile evitare l’ipersorveglianza ormai pervasiva in Cina”.

L’esistenza di Dragonfly era già stata resta nota, sempre da The Intercept, lo scorso agosto e aveva provocato un movimento di protesta da parte di 1.400 dipendenti Google (alcuni si sono licenziati), nonché una lettera aperta inviata da 14 diverse organizzazioni internazionali. Proteste che non hanno fermato lo sviluppo di un motore di ricerca che integra la censura delle parole sgradite al governo, il blocco di molte pagine non cinesi (compresa Wikipedia) e anche – si apprende ora – il monitoraggio di chi esegue le ricerche stesse.

Pare inoltre che Dragonfly sia progettato anche per fornire solo informazioni selezionate dal governo. Per esempio riguardo ai dati ambientali, argomento su cui Pechino è già stata accusata di manipolazione e falso. Secondo le fonti di The Intercept, il sistema “solleva preoccupazioni perché la ricerca Dragonfly fornirebbe informazioni false sull’inquinamento, rivedendo al ribasso la quantità di tossine nell’aria”.

Google non è l’unica azienda che si è adattata alle richieste di Pechino: Apple ha rimosso molte applicazioni dall’App Store e controlla quelle nuove, Microsoft ha modificato i propri prodotti. L’azienda di Mountain d’altra parte è forse l’unica tra le grandi che ha almeno provato ad opporsi, creando già nel 2010 una frattura con Pechino che ora sta cercando di risanare.

Il nuovo motore di ricerca è dunque un passo ulteriore nel più grande mercato del mondo, ma già prima ci sono state modifiche ad Android (il Play Store non esiste in Cina) e altri prodotti. Nel 2010 il mondo guardava a Google come l’unica grande multinazionale che si ergeva in difesa della libertà di espressione, anche se il prezzo da pagare era la rinuncia ai fatturati generati dal mercato cinese. Oggi invece pare che Big G abbia deciso di fare più di un passo indietro.

Non è detto però che il progetto Dragonfly veda mai la luce, come conferma un portavoce dell’azienda. “Il nostro lavoro a un motore di ricerca è stato esplorativo, non siamo nemmeno vicini al lancio di un prodotto di ricerca in Cina“. Fino a oggi l’azienda californiana ha evitato confronti diretti con le associazioni che la criticano; una strategia che potrebbe finire presto, considerato che almeno 16 parlamentari USA hanno chiesto ufficialmente all’azienda di chiarire quanto emerso finora.

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