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Anglicismi della comunicazione

I termini scelti e quantificati si trovano in notizie on line come quelli relativi all’economia e riguardano i mezzi di comunicazione in senso ampio (Tabella 8). Quindi, non solo termini gergali come “shooting”, ma anche termini che indicano fenomeni e interessi delle comunicazioni, come il caso degli “youtubers” o dei “cosplay”.

Come nel caso dei termini del settore economico, la maggioranza delle parole di ambito comunicazioni (Tabella 9) sono state introdotte nei dizionari della lingua italiana, in proporzione ancora più incisiva, superando il 70% dei casi, mentre nell’altro caso il livello si attestava a poco più del 60%.

Il numero di parole riconducibile al latino in questo ambito (Tabella 10), per il campione analizzato, non arriva però al 50%. Tale risultato può essere letto in due modi: dagli addetti al settore si aspetta, di solito, una maggior sensibilità linguistica nello scegliere il lessico. Prima di avvalersi di una parola straniera, è probabile che un giornalista cerchi una soluzione nella propria lingua. Di conseguenza, sono più evidenti le parole che non possiamo far risalire a un’origine latina.

I Grafici 3 e 4 mostrano chiaramente come i termini legati a Internet siano in incremento continuo. Il campione è limitato per fare delle affermazioni universalizzanti, ma conferma una tendenza che si percepisce come fenomeno sociale tangibile. Va, inoltre, considerato che il campione è stato prelevato da Internet stesso, e quindi ciò potrebbe aver determinato un risultato autoreferenziale.

Il Grafico 5 evidenzia due aspetti già indicati precedentemente, ossia, che la diffusione di anglicismi economici rispetto a quelli della comunicazione è molto più limitata. In entrambi i casi, però, si verifica un incremento degli anglicismi selezionati.

Tale risultato segue la tendenza generale della diffusione di Internet come mezzo di condivisione e una maggior “permeabilità” del sistema all’influenza di lingue straniere. Internet, sostanzialmente, sta cambiando il nostro rapporto con le lingue e questo è un fenomeno che va seguito con attenzione, interpretato e spiegato perché gli italiani possano usare con consapevolezza non solo la propria lingua, ma anche i canali comunicativi di cui si avvalgono per conoscere, imparare e informarsi.

L’Italia non è mai stata famosa per una conoscenza diffusa delle lingue straniere, sebbene si allarghi il numero di coloro che ne conoscono una (56,9% nel 2006; 60,1% nel 2015), più uomini che donne, con uno scarto di oltre 4 p.p. (Tabella 11).

Il nostro Paese, sugli 80 testati dalla Società svizzera EF (Europeiska Ferieskolan), si colloca in una posizione centrale, insieme con altri 13, tra cui Francia, Spagna, Indonesia, India e Slovacchia (Tabella 12). I migliori risultati sono raggiunti dal Nord Europa (Paesi Scandinavi, Olanda e Lussemburgo), oltre che da Singapore. Seguono, con un buon livello, altri Paesi del Nord Europa (Germania, Austria, Polonia, Ungheria, Serbia), Svizzera e Portogallo. Di questo gruppo fanno parte anche Malesia, Filippine e Argentina. Con un basso livello, troviamo molti Paesi del Centro e Sud America e grandi Paesi come Cina, Giappone e Russia. Infine, in fondo alla classifica, oltre alla Colombia e a Panama ci sono altri 28 Paesi (non riportati nella Tabella) tra cui Turchia, Tunisia, Venezuela, Giordania, Iran e Iraq.

La nostra lingua si trova al 25° posto nella classifica di quelle più parlate al mondo per numero di persone che la parlano, tutti di madrelingua, ad esclusione di 3 milioni (Tabella 13).

Ma la fortuna di una lingua è determinata da quanti la parlano e dall’influenza politica e commerciale dei Paesi che la adottano. L’inglese è parlato da oltre 1,2 miliardi. di persone al mondo, di cui circa 1/3 madrelingua, rappresentati da Gran Bretagna, Usa, Australia, ecc.; il Cinese mandarino è parlato da oltre 1 miliardo. di persone, l’Indostano da 700.000 circa e lo spagnolo da oltre mezzo miliardo, ma la forza politico-commerciale – al momento – di tali Paesi non è paragonabile a quella degli anglofoni. Tutto ciò spiega l’inevitabile insinuazione degli anglicismi nelle lingue. Si ripete ciò che è accaduto con il greco e il latino che per la propria supremazia culturale e politica hanno influenzato tutte lingue del mondo occidentale.

All’articolo ha collaborato Gislaine Marins

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