Negli ultimi mesi la questione dei migranti è al centro dell’attenzione mediatica. E lo è – si badi bene –anche quando si spendono parole, tempi televisivi, articoli di giornale per ricordare che i problemi dell’Italia sono ben altri (disoccupazione, precariato, debito pubblico) e troppa attenzione sui migranti serve solo a distrarci da ciò che la politica non vuole (o non può) affrontare o risolvere. Arma di distrazione di massa, si dice.

L’origine di tutta questa attenzione – quasi ossessiva ormai – è Matteo Salvini. È lui (e/o il suo staff) che twitta sull’argomento ogni giorno (spesso più volte al giorno), sempre pronto a cogliere anche il più piccolo incidente, il più lieve disagio, anche nella periferia italiana più remota, che coinvolga persone di altra etnia, colore o religione, per confermare che “portano solo guai, problemi, crimini” e che “perciò non li vogliamo, se ne tornino a casa”. La stessa cosa fa nelle interviste e in televisione, ma è sui social media che la frequenza è più alta, poiché è lì dentro che il politico di turno (non solo Salvini) può inseguire l’attimo, ora dopo ora, minuto dopo minuto.

Ma i media? Che fanno i media? Tutti pronti a riprendere ogni minimo sospiro di Salvini, su Twitter come su Facebook, a propagarlo sulla stampa, in radio e, cosa ben più efficace per potenza di fuoco, in televisione. Il problema è che fanno un bel servizio a Salvini anche i media che credono (si illudono) di combatterlo. Il che accade ai giornalisti, ai politici ma anche, sui social, a chiunque si pensi bello e buono perché antirazzista, antifascista, anti-tutte-le-cattiverie-del-mondo, ma si limita, tutti i giorni, a riprendere affermazioni, post, tweet, immagini che mette all’indice come razziste, fasciste, negative, assolutamente da evitare. Chiunque si limiti a dire che “no, non va bene” non raggiunge l’obiettivo. No. No. No. Perché ripetendo no, si riprende inevitabilmente ciò che si nega, lo si mette al centro dell’attenzione e – paradosso dei paradossi – gli si attribuisce un gran valore. Un valore enorme, che cresce in funzione dei no che gli si sparano contro.

Se ti ordino «Non pensare all’elefante!», che fai? Nel momento stesso in cui ascolti o leggi il mio ordine, non puoi fare a meno di pensare a un elefante. Proprio il contrario di ciò che ti avevo detto di fare. Lo spiegava lo scienziato cognitivo americano George Lakoff già nel 2004. Per anni il centrosinistra italiano e la maggior parte dei media italiani (alcuni internazionali), dicendo no a Silvio Berlusconi, non hanno fatto che rinforzarlo, mettendolo sempre al centro dell’attenzione e con ciò conferendogli sempre, malgrado le intenzioni oppositive, un grande valore.

E ora? Si vuole fare la stessa cosa con Salvini? Peggio: si vuole fare la stessa cosa con gli aspetti più discutibili della sua comunicazione, quelli che appaiono più razzisti e xenofobi? Perché attenzione, Salvini non è solo questo: se leggi bene i suoi post, se ascolti con attenzione le sue interviste e segui i suoi video, scopri che Salvini è assai più rassicurante, pacioso, protettivo, sorridente, persino affettuoso, degli aspetti che i media tendono a selezionare. Altrimenti non si spiegherebbe perché – almeno per ora – guadagni tanto consenso. Sono razzisti tutti quelli a cui piace Salvini? Certo che no.

E allora? Allora sintetizzo: se i media non si preoccupassero sempre e solo di enfatizzare e diffondere il razzismo di Salvini (per molti presunto), circolerebbe una quantità di discorsi razzisti mooolto inferiore a quella che oggi circola. Se ci fosse la capacità di non prendere in considerazione, non citare, non rilanciare l’ennesimo tweet o post sul problema-creato-dal-migrante, si parlerebbe finalmente d’altro. Magari di collaborazione, solidarietà, accoglienza, comprensione. Attenzione a non rinforzare proprio ciò che si combatte.

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