Vittorio Malacalza vince la guerra per il controllo di Banca Carige. Nell’assemblea dei soci, l’industriale ottiene la maggioranza assoluta dei voti conquistando sette degli undici posti in consiglio. Malacalza mette fine così alle ambizioni del finanziere Raffaele Mincione e dei suoi alleati, il petroliere Gabriele Volpi e l’imprenditore della logistica e patron del Livorno Calcio, Aldo Spinelli. Con il risultato che in Carige cambiano tutti gli assetti: uscirà di scena l’attuale amministratore delegato, Paolo Fiorentino, che dovrà cedere il passo a Fabio Innocenzi, mentre Pietro Modiano diventerà il nuovo presidente.
Con il ricambio ai vertici muterà anche la strategia dell’istituto di credito finito sull’orlo del collasso a seguito della gestione dell’ex presidente, Giovanni Berneschi. Interpellato poco prima dell’assemblea, Modiano ha puntualizzato che Carige va prima ristrutturata e poi eventualmente fusa con un’altra banca. Esattamente il contrario di quanto avrebbero voluto invece l’asse Fiorentino-Mincione. “Non parliamo a priori di un’aggregazione. Un buon cda valuta le situazioni, le esamina, le porta al regolatore”, ha ribadito Malacalza al termine dell’assise dei soci. “È prematuro parlare di fusioni (…) Se serve un aumento, faremo la nostra parte”, ha poi aggiunto.
Nel corso dell’assemblea non sono mancati scontri e polemiche. Il rappresentante di Mincione, l’avvocato Guido Alpa, ha accusato alcuni potenziali consiglieri della lista di Malacalza di essere in conflitto di interessi occupando incarichi in consigli di altre banche. Il legale di Malacalza, Carlo Pavesi, ha invece chiesto al presidente dell’assemblea, Giulio Gallazzi, accertamenti su quote (circa il 3%) detenute da tre fondi riconducibili alla galassia di Mincione con l’obiettivo (mancato) di ottenere la sterilizzazione dei voti.
Malacalza ha inoltre mosso diverse accuse alla gestione di Paolo Fiorentino. “Con nostra delusione, l’attuale amministratore delegato non ha saputo portare avanti il processo di cambiamento con la determinazione da esso richiesta. I numeri certificano l’insuccesso dell’attuale gestione”, ha dichiarato nel suo intervento, Francesco Gatti, legale rappresentante della Malacalza Investimenti. “Ha fallito, dare la colpa alla governance è il comodo paravento per dare ad altri le responsabilità” quando “la sola via d’uscita è indicata in una inesistente e improbabile aggregazione non si sa con chi”, ha poi aggiunto. La risposta di Fiorentino non si è fatta attendere: “Non abbiamo svenduto asset. Sono stati messi sul mercato con processi competitivi, sono stati contabilizzati nel bilancio 2017, votati con larghe maggioranze dopo lunghe discussioni, e il bilancio 2017 è stato approvato”, ha precisato il manager.
Alla fine, la fiducia dei soci è andata alle parole di Malacalza. La lista proposta dall’industriale ha ottenuto la maggioranza assoluta dell’assemblea (52,58%) contro il 34,77% andato ai candidati di Mincione. La lista Assogestioni ha totalizzato il 28,86% dei voti, mentre Coop Liguria ha raggiunto il 3,10 per cento. Non solo. Malacalza ha incassato anche l’ok alla riduzione dei consiglieri che sono passati da quindici a 11 rappresentanti. Sette poltrone sono andate alla lista della Malacalza Investimenti che sarà rappresentata da Paolo Modiano, Fabio Innocenzi, Lucrezia Reichlin, Stefano Lunardi, Salvatore Bragantini, Francesca Balzani e Lucia Calvosa. Tre sono le poltrone conquistate da Mincione che sarà presente in consiglio accanto a Bruno Pavesi e Luisa Marina Pasotti. L’unico rappresentante di Assogestioni sarà Giulio Gallazzi. Malacalza ha vinto anche sul collegio sindacale dove entrerà la candidata Stefania Bettoni, che ha ottenuto più voti (55,77% dei presenti contro il 34,77%) di quella proposta dalla Pop 12 di Mincione.
Si è conclusa così una guerra in cui ha avuto un ruolo anche il Tesoro. Un conflitto in cui la Sga, controllata dal ministero dell’Economia, ha ceduto a Malacalza una quota del 3% che vale doppio. “In più occasioni sono state fatte offerte a Sga a prezzi superiori del 25-30% rispetto ai valori di mercato – ha spiegato Mincione al Sole24Ore – La valenza strategica della quota era evidente, ma le offerte sono sempre state rifiutate in nome di una presunta neutralità con la decisione di vendere al mercato e non ai blocchi. Chissà cosa avrà fatto cambiare idea a Sga. Mi auguro che sia stata una decisione fortunata e profittevole”. Parole che suonano come un monito verso il governo guidato da Giuseppe Conte che Mincione ha incontrato, prima dell’incarico da premier, su consiglio del lobbista Luigi Bisignani, indagato nella vicenda Parnasi-Lanzalone per il nuovo stadio della Roma. “Resto convinto che le istituzioni non prendano parte alle battaglie finanziarie tra i privati”, ha poi aggiunto il finanziere protagonista di un duello senza esclusione di colpi che ha chiamato in causa anche Bankitalia e il Tribunale di Genova.
Intanto, prima dell’assemblea, in Carige è arrivata la bocciatura della Banca Centrale europea. In una lettera notificata alla banca il 14 settembre, la Bce ha fatto sapere di “non approvare” il piano di conservazione del capitale presentato nel giugno scorso e ne ha chiesto un altro, entro il prossimo 30 novembre, che contempli in particolare “l’opzione di un’aggregazione aziendale“. Lo ha fatto sapere lo stesso istituto ligure. La fusione con un’altra banca potrebbe servire, secondo la Bce, ad “assicurare in modo sostenibile l’osservanza dei requisiti patrimoniali”. Se Carige “perseguirà” questa opzione, la Bce “stabilirà un nuovo termine entro il quale al più tardi dovrà essere completata l’osservanza di tutti i requisiti patrimoniali”. Segno che la fine della guerra fra Malacalza e Mincione è solo l’inizio di una lunga strada in salita per Carige.