Dal 2015 si attende l'area per un deposito nazionale dove stoccare i rifiuti di vecchio atomico e sanità. La Sogin: "Così ci sarà bisogno di altri siti". E ora manca anche il personale per smantellare i reattori
Scomparso dalle priorità politiche della Lega, il tema del federalismo rischia di ricomparire in un settore insospettabile, quello dei rifiuti nucleari. Mentre infatti la politica continua a temporeggiare sull’avvio dell’iter verso la costruzione di un unico deposito nazionale che accolga gli scarti del passato atomico italiano finito con il referendum del 1987 e le scorie radioattive di provenienza sanitaria, il rischio è che la vita degli stoccaggi temporanei sul territorio si allunghi più del previsto. Con il risultato che ognuno si terrà i suoi scarti, ma in condizioni di sicurezza inferiori: i fusti di rifiuti a bassa e media attività, pur appositamente condizionati, sigillati e stoccati, per il momento sono infatti custoditi in aree ottimali, sì, per ospitare centrali nucleari e centri di ricerca sull’energia dell’atomo, ma che non rispondono ai criteri fondamentali per i depositi. A questo si aggiunge la situazione dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare, operativo dal 1 agosto ma partito già a corto di personale: deve autorizzare ogni intervento di smantellamento operato da Sogin, la società pubblica incaricata del decommissioning, ma con pochi tecnici i tempi si allungano. Come se non bastasse, l’Italia deve fare i conti anche con una procedura d’infrazione, avviata dalla Commissione europea per l’assenza di un programma di gestione dei rifiuti nucleari, che in casi di ulteriori inadempienze potrebbe sfociare in una multa. Così, il costo di ritardi e inadempienze ricadrà sui cittadini.
Deposito nazionale: tempi al limite
“Oggi siamo al limite per aprire i primi spazi nel 2025, quando rientrerà in Italia anche quella parte di rifiuti al momento stoccati in Francia e Gran Bretagna”, dice l’ad di Sogin Luca Desiata parlando del deposito nazionale, la cui progettazione e costruzione è tra i compiti dell’azienda pubblica. I tempi stimati per realizzarlo sono circa otto anni (quattro tra consultazione pubblica, progettazione definitiva e autorizzazioni e altri quattro per i cantieri), ma la Carta dei siti potenzialmente idonei, primo passo per la scelta dell’area dove costruire il deposito, è attesa dal 2015. Nonostante le promesse dell’ex ministro Carlo Calenda che si era impegnato a renderla pubblica avviando così l’iter, è ancora custodita nei cassetti dei dicasteri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico. Senza quella tutto rimane fermo, ma davvero Luigi Di Maio e Sergio Costa vorranno legare il proprio nome a un’opera fondamentale per il Paese, ma difficile da far digerire ai cittadini? “Bisogna individuare subito il deposito nazionale per le scorie nucleari. Da irresponsabili continuare a rimandare” ha assicurato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa a inizio giugno. Mentre si avvicinano le elezioni europee, il rischio di altri rinvii appare concreto. “I rifiuti che produciamo – aggiunge Desiata – in parte possiamo tenerli in depositi temporanei, ma dopo un po’ questi depositi si riempiono. Senza deposito nazionale, saranno necessari ulteriori depositi temporanei“.
Il rischio di depositi temporanei permanenti
Dopo anni di ritardi e inefficienze della stessa Sogin, certificati anche dalla Corte dei Conti e dalla commissione Ecomafie, adesso l’azienda completamente partecipata dal ministero dell’Economia vuole accelerare. “Ci auguriamo che il 2018 si chiuda come anno migliore di sempre, con attività di decommissioning comprese tra 76 e 86 milioni di euro”, aggiunge l’ad Desiata, entrato in carica con l’attuale presidente Marco Ricotti, docente del Politecnico di Milano, nell’estate 2016 in una fase molto critica per l’azienda. Ci sono da finire di demolire e bonificare in tutto quattro centrali (Trino, Caorso, Latina, Garigliano), un impianto per la produzione del combustibile (Bosco Marengo) e una serie di impianti di ricerca (Saluggia, Casaccia, Rotondella, Ispra), con costi totali di 7,2 miliardi di euro, di cui la metà ancora da spendere e il 73 per cento degli smantellamenti tuttora da realizzare.
Per usare il linguaggio di Sogin, in tutti bisogna arrivare alla situazione di “prato verde”, con zero vincoli radiologici e la possibilità di qualunque tipo di riutilizzo. La fase precedente è quella di brownfield: smantellamento concluso e rifiuti tutti stoccati in sicurezza nei depositi temporanei, in attesa di essere trasferiti al deposito nazionale. Dopo vari rinvii del passato, oggi Sogin prevede di arrivare al primo brownfield a Bosco Marengo, in provincia di Alessandria, tra il 2018 e il 2019, e di completare gli altri tra il 2026 e il 2036.
La speranza è che nel frattempo entri in funzione anche il deposito nazionale, in modo da restituire realmente queste aree alla collettività: senza un sito unico di stoccaggio, al contrario, rimarrebbero in un limbo. Dei brownfield permanenti, oltretutto in zone non ideali per lo stoccaggio dei rifiuti nucleari: “Abbiamo più volte dichiarato che i luoghi dove si trovano i siti non potranno ospitare il deposito nazionale perché non rispondono ai criteri messi a punto dall’Ispra per individuare le aree idonee”, spiegano da Sogin. Tra questi per esempio c’è l’assenza di rischio di terremoti, ma proprio la centrale di Garigliano è stata fermata già prima del referendum sul nucleare perché non risultava conveniente economicamente un suo adeguamento sismico.
Il nuovo Ispettorato per il nucleare in affanno
Oggi, dice l’ad della società, “abbiamo deciso che era necessario andare al cuore del problema, senza continuare a tergiversare e smantellare piccoli edifici”. Così, Sogin ha presentato i piani per smantellare i reattori delle ex centrali di Trino, nel Vercellese, e Garigliano, in provincia di Caserta. Progetti che hanno ricevuto il parere positivo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. “Avevamo chiesto una revisione dell’agenzia anche lo scorso anno sul nostro programma di decommissioning ed è nostra intenzione proseguire questa collaborazione anche nel 2019. Il prossimo anno il tema sarà l’economia circolare, che crediamo possa funzionare anche nell’ambito della nostra attività”, aggiunge Desiata. Adesso per l’inizio dei lavori nei due siti si attendono le autorizzazioni dell’Ispettorato italiano per la sicurezza nucleare: “scorporato” dall’Ispra ed entrato in attività il primo agosto scorso, è però in affanno per la mancanza di personale. “Da qui a cinque anni il 30 per cento del nostro organico andrà in pensione – spiega Fabrizio Trenta dell’Isin – Ci servirebbero almeno 30 tecnici, ma senza un provvedimento ad hoc abbiamo le mani legate per il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione”.
Pagano sempre i cittadini
In questo quadro, va avanti la procedura di infrazione contro l’Italia: a maggio scorso Bruxelles ha deferito il nostro Paese, insieme a Austria e Croazia, alla Corte di giustizia europea per non aver ancora inviato agli organi comunitari il programma nazionale di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi. Il documento dovrebbe essere quasi pronto, ma altri ritardi e inadempienze anche sul deposito nazionale potrebbero andare a pesare sulle tasche dei cittadini, sia per una possibile multa dell’Europa, sia per il mantenimento in funzione di numerosi depositi temporanei anziché uno solo.
Riceviamo e pubblichiamo
Con riferimento all’articolo pubblicato oggi sulla gestione delle scorie nucleari, segnalo che la Commissione Industria Commercio & Turismo, che presiedo, ha iniziato proprio ieri lo svolgimento dell’Affare Assegnato n. 60 ” sulla gestione e messa in sicurezza dei rifiuti nucleari sul territorio nazionale”. Lo svolgimento di tale Affare Assegnato è stato programmato, ed è quindi di dominio pubblico da più di un mese, per cui qualsiasi soggetto può verificare che la politica, o meglio l’attuale maggioranza non si è affatto dimentica del problema anzi, proprio perché cosciente del fatto che il problema è grave ed irrisolto, si è attivata immediatamente. Più precisamente ancora, chiunque può verificare che il mio ufficio già dalla scorsa legislatura si è mosso con tutti gli strumenti che allora la nostra posizione di soggetto Parlamentare all’opposizione consentiva. Ora semplicemente essendo soggetto in Maggioranza, stiamo proseguendo coerentemente.
Come buon senso suggerisce, e come da facoltà concessaci, stiamo procedendo audendo tutti i soggetti interessati, per avere il quadro più completo possibile ed aggiornato della situazione, per poter redigere una Risoluzione ed indirizzare così il Governo in materia. Tutte le audizioni suddette sono trasmesse in diretta e archiviate sulla piattaforma del Senato, ad accesso totalmente libero, ed altresì i documenti che ci verranno consegnati saranno pubblici sempre sulla piattaforma pubblica del Senato, e quindi anche il Vostro giornale può visionarli.
Pertanto mi sento di affermare che il titolo del Vostro articolo suddetto è altamente scorretto, e vi prego di considerare l’opportunità di una rettifica, una precisazione, un aggiornamento, per amor di verità.
Distinti saluti
Gianni Girotto – Presidente Commissione Industria, Commercio, Turismo, Energia – Senato