“Con la firma e la sottoscrizione del presente contratto mi impegno a rispettare i punti seguenti, consapevole che il non rispetto comporta una netta modulazione del rapporto didattico-educativo e conseguenti azioni e scelte da parte dell’insegnante”. Il contratto è quello sottoscritto all’inizio del nuovo anno scolastico dai diciassette alunni di una classe terza dell’Istituto Magistrale Statale “Don Giuseppe Fogazzaro” di Vicenza. L’ideatore? Simone Ariot, l’insegnante di lettere e storia dei ragazzi tra i 16 e i 18 anni iscritti all’indirizzo di Scienze applicate dell’istituto.
Un regolamento per gli alunni, ma anche per il professore. Un patto, con delle regole. Da rispettare.
Si va dalla necessità di “mantenere un clima favorevole all’apprendimento”, a quello di “accogliere le diversità dei compagni”. Passando per la cura dei luoghi e il senso di collettività. Evitando episodi di bullismo. Si parla anche dell’abbigliamento. “Posso scegliere lo stile che preferisco, sentendomi rappresentato da un modello estetico o da un altro, ma non mi dimenticherò di essere in uno spazio di formazione. Non confonderò la scuola con una palestra, una piscina, una discoteca. Eviterò quindi pantaloni corti, strappati in modo diffuso, canotte, scollature eccessive o gonne troppo corte, nel rispetto mio e della comunità apprendente”, si legge al punto 10. Si parla di smartphone, che in classe non può essere usato.
Regole. Semplicemente una lista di regole. Perché, dice il professor Ariot, “I ragazzi hanno voglia di regole”.
Certo, già esisteva il Ptof, il Piano triennale dell’offerta formativa modificabile ogni anno. Ma l’iniziativa del professore Ariot ha voluto rinsaldare ancor più il patto scuola-famiglie, decidendo di investire i ragazzi di una responsabilità che generalmente spetta ai genitori. Decidendo di responsabilizzarsi maggiormente. E’ consuetudine di molti insegnanti, soprattutto all’inizio di un nuovo ciclo di studi, ricordare agli alunni norme di comportamento. Ribadire l’importanza della solidarietà, dell’inclusione. Insomma le regole dello “stare insieme nel rispetto comune”. Il professore del Fogazzaro ha deciso di scrivere per punti quel che generalmente si argomenta, verbalmente. Così ecco il contratto. Da leggere insieme, in classe, per capire. Per spiegare. E poi da portare a casa per decidere se sottoscriverlo. Come è andata? Tutti i ragazzi hanno firmato e quindi accettato il documento. Sorpresi, almeno un po’, ma felici.
L’anarchia contrabbandata per libertà di espressione da almeno un decennio ha portato troppo spesso la scuola a diventare un luogo di sperimentazione selvaggia. Un luogo nel quale le regole non di rado sono state riviste. Ripensate fino a mutarne forma e contenuto, in modo sostanziale.
I sostenitori del cambiamento rivendicano la necessità di adeguarsi ai tempi. Di rimodulare le richieste sulla base delle esigenze dei ragazzi, nati nel nuovo secolo. Molti di quei sostenitori guardano con sospetto alle regole, “inattuali” ed “inutili”, a loro dire. La storia recente sembra dimostrare il contrario. Il regolamento del Liceo di Vicenza sembra confermarlo.
“Le regole servono per vivere insieme, senza regole rimani da solo”, ha scritto in un componimento nel corso dell’anno scolastico 2009-10 Lorenza Raggi, alunna della classe III D della Scuola primaria “Anna Frank”, di Binasco. Pensiero che sintetizza quel che “le cose da fare e quelle da non fare” vogliono rappresentare. Non costrizioni. E neppure limitazioni, oltre misura. Ma strumenti di reale libertà. Elementi imprescindibili per avvicinare “gli altri”. Innanzitutto rispettandoli.
“L’insegnante non è un nemico, ma un membro della stessa squadra. È il nostro capitano e ci fornisce i suggerimenti per vincere la partita. La sua vittoria è anche la nostra vittoria. La nostra vittoria è anche la sua”. Così il professore Ariot definisce il ruolo del docente. Un capitano coraggioso e non un rigido burocrate. Una figura autorevole e non autoritaria. Nonostante riforme e tentativi di circoscriverne il ruolo e ridefinirne gli spazi, a fare la differenza sono ancora i buoni insegnanti.