Il concorso pubblico viene ritenuto il miglior metodo di reclutamento del personale perché mette tutti coloro che hanno determinati requisiti allo stesso livello e offre una possibilità di assunzione che poi diverrà a vita. La ricerca psicologica della perfezione, insita nell’ideologia del concorso pubblico, in cui si recluta per sempre il migliore spesso porta a gravi problemi. Occorre accettare l’idea che tutti i modelli di reclutamento del personale hanno pecche e si dovrà ricercherà il meno peggio.
Premetto che non ho interesse per concorsi e, per il tipo di professione che svolgono, nemmeno i miei figli sono coinvolti. Ho partecipato, quando ero un giovane medico, a quattro concorsi pubblici superandone tre. Le modalità di svolgimento e successivo reclutamento all’epoca erano strambe. Cito per tutti il primo, trent’anni orsono, cui partecipai subito dopo la laurea. Eravamo iscritti in cinquemila per cinquanta posti e la prova scritta, a quiz, si svolgeva in un palasport. Non esisteva alcun reale controllo per cui si poteva fare l’esame confrontandosi col gruppo dei vicini.
Alcune domande erano ipernozionistiche senza alcuna correlazione col lavoro reale di medico, altre palesemente assurde. Ricordo in particolare che una domanda chiedeva quale fosse il tempo di incubazione di una malattia per poi mettere opzioni secche tipo una settimana, due settimane o tre. Peccato che, nel post esame, andando a leggere sui vari libri, emergesse che l’incubazione andava da pochi giorni a un mese per cui tutte le risposte erano potenzialmente giuste. Il reclutamento, per le lungaggini burocratiche a seguito di questo concorsone, avvenne dopo diversi anni mettendo in ruolo in pediatria medici che nel frattempo si stavano specializzando in geriatria. Ritengo che il concorso pubblico non sia il metodo migliore per assumere personale. Rappresenta simbolicamente un’idea di imparzialità e oggettività che nella realtà è impossibile da realizzare se non creando un meccanismo in cui il caso e la fortuna incidono pesantemente sul risultato finale. Il concorso pubblico è l’espressione di una posizione ideologica in cui si vuole affermare che colui che detiene il potere è imparziale e che tutti hanno le stesse opportunità.
Nel privato l’uso del concorso è quasi assente perché la logica di ogni persona che voglia assumere un collaboratore è quella di cercare di selezionare il più idoneo e capace attraverso colloqui ripetuti non solo di tipo nozionistico e valutazione del curriculum per poi fargli fare un periodo di prova come precario per alcuni anni per testare le sue reali attitudini. Nel concorso pubblico, come lo conosciamo, intervengono svariati fattori che inquinano il risultato. Cito fra questi la possibilità di conoscere in anticipo fraudolentemente le domande, le conoscenze incrociate coi commissari, gli appoggi politici, l’abilità di alcuni a copiare, la capacità di rispondere ai quiz rispetto alla capacità argomentativa, la casualità di essere in quel momento in buona o cattiva salute.
L’essere assunto, a seguito di questa prova “a vita” come capita in tutte le amministrazioni pubbliche è palesemente assurdo in quanto provoca gravi storture. Nel caso della carriera universitaria ad esempio occorre darsi da fare e produrre ricerche fino a che non si è assunti stabilmente per poi, potenzialmente, smettere di impegnarsi in quanto ormai di ruolo vita natural durante.
Quando ero giovane medico andai per un periodo a Ginevra in Svizzera. Mi proposero sei mesi di assunzione con la possibilità successiva di rimanere ma era chiaro che non ci sarebbe mai stato un posto fisso per tutta la vita. Il primario del reparto si assumeva la responsabilità di questa e altre assunzioni, aveva una equipe da lui scelta coesa e motivata e rispondeva in prima persona dell’andamento del reparto.
Non accettai la proposta a causa di una ragazza che ora è mia moglie da 35 anni. In Italia, al contrario, si poteva capitare nel reparto con un primario che non ti stimava e che tu ritenevi inidoneo e nel caso ci si doveva sopportare vicendevolmente sapendo che solo eventuali promozioni (promoveatur ut moveatur) ti avrebbero aiutato a cambiare qualcosa.
Ritengo che più la posizione è di elevata responsabilità e stipendio più dovrebbe essere temporanea, per periodi di alcuni anni rinnovabili solo se i risultati sono positivi. Il reclutamento dovrebbe essere attuato in base alla storia e al curriculum corredati da colloqui. Il candidato assunto non dovrebbe mai rimanere per sempre in quella posizione ma essere con regolarità sottoposto a verifiche. Chi lo assume deve essere responsabilizzato per questa sua scelta e mandato via se la gestione dell’incarico non è adeguata. Capisco che occorre sconfiggere degli stereotipi ideologici e psicologici molto radicati nella cultura italiana quali il posto a vita, la tutela, costi quel che costi all’utente, del lavoratore nel pubblico impiego e l’idea presunta dell’imparzialità assoluta di un commissario che deve reclutare il personale.