Nell'ultimo riunione plenaria prima dell'insediamento dei nuovi consiglieri, Palazzo dei Marescialli chiude due procedimenti che avevano fatto discutere nelle ultime settimane: quella sul giudice scrittore che inviava sms a Buzzi, ma prima del suo arresto per Mafia capitale, e quella sul presidente del tribunale di Bologna che si era espresso contro il referendum costituzionale
Il caso del presidente del tribunale di Bologna che su facebook definì il referendum costituzionale una riforma fondata sui valori del “clientelismo scientifico e organizzato” e l’eventuale vittoria del sì un “atto di forza, estraneo al diritto”. E quello di Giancarlo De Cataldo, il giudice-scrittore che scambiava sms e telefonate con Salvatore Buzzi, prima che il ras delle cooperative venisse arrestato nell’inchiesta su Mafia capitale. Nell’ultimo plenum prima dell’insediamento dei nuovi consiglieri, il Csm chiude due procedimenti che avevano fatto discutere nelle ultime settimane.
Anzi, per la veritò, secondo Palazzo dei Marescialli nel caso di De Cataldo non ci sono neanche i per l’apertura di un procedimento di trasferimento, pur con alcuni distinguo, 4 voti contrari e 5 astensioni. Dall’istruttoria compiuta, durante la quale sono stati ascoltati i vertici della corte d’Appello di Roma, dove De Cataldo è giudice nel settore penale, non sono emersi elementi per ipotizzare che gli “sporadici contatti” possano aver avuto “un oggettivo riverbero negativo” sulla sua funzione. Buzzi era all’epoca ritenuto da De Cataldo un ex detenuto modello, riabilitato ed attivo nel settore sociale. E tra i due non vi era “alcun legame di natura economica, clientelare, affaristica o parapolitica”, “commentavano superficialmente notizie di costume o di attualità”. Il Plenum ha anche bocciato la richiesta di rinviare al nuovo Consiglio la decisione: 13 i voti contrari al ritorno in commissione avanzato dal consigliere Aldo Morgigni, che tre anni fa aveva chiesto al Csm di aprire una pratica sul giudice, autore di best seller di successo – anche la loro trasposizione cinematografica – come Romanzo criminale e Suburra. Sulla vicenda, ad ottobre 2016 fa Palazzo dei Marescialli, con una travagliata decisione, con voto paritario tra favorevoli e contrari, aveva bocciato la richiesta di archiviazione. A seguito di quella decisione la prima commissione, competente in materia, aveva approfondito la questione arrivando alla medesima conclusione.
Su proposta della prima commissione è stato archiviato il procedimento di trasferimento d’ufficio di Francesco Caruso, presidente del tribunale di Bologna. Il suo commento postato su facebook a proposito del referendum costituzionale era riservato ad una platea di amici, ma venne pubblicato senza il suo consenso, come ha spiegato poi, da La Gazzetta di Reggio. Il Csm ha ritenuto che, “al pari di ogni altro magistrato, aveva pieno diritto ad esprimere la sua opinione sul referendum costituzionale”, pur sottolineando che “i toni e le espressioni utilizzate dal dottor Caruso sono state fortemente inopportuni“. “Si tratta – si legge nella delibera – di dichiarazioni che per un magistrato non possono non apparire fuori misura e prive di equilibrio: esse tendono a negare la legittimità della riforma approvata dal parlamento e, nel contempo, a denigrare sul piano democratico i suoi sostenitori, paragonandoli addirittura agli italiani che, negli anni della guerra di liberazione, si schierarono con i nazifascisti. Ad essere aspri e contundenti non sono soltanto i toni ma anche i contenuti”. Il Csm rileva inoltre che lo scritto era sì rivolto ad una platea di 200 persone, ma era ampiamente prevedibile che, in ragione del ruolo pubblico ricoperto dal magistrato, qualcuno – sia pure in maniera non corretta sul piano umano e relazionale – lo divulgasse all’esterno”. Tuttavia “non esistono i presupposti per l’apertura di un procedimento per incompatibilità ambientale o funzionale”. Infatti, le dichiarazioni, “per quanto inizialmente veicolate su un quotidiano locale, non hanno in realtà riguardato il contesto territoriale”, ma un evento “nazionale”, né vi erano “significativi riferimenti alla situazione politica locale e ad esponenti locali. Non vi è quindi ragione per ritenere che tali dichiarazioni abbiano potuto e possono tuttora radicare una situazione di incompatibilità ambientale”.