Disagio. Una sensazione. Nulla di più, nulla di meno. Una fortissima sensazione di estraneità rispetto a una destra sempre più caricaturale. Sempre più cattiva. Sempre più estrema. Come se l’urlo fosse l’unico modo di vivere la politica. Come se l’odio fosse l’unico sentimento possibile. È forse questa la destra autorevole che tanti hanno sognato? Una destra così ipocrita e bavosa? Davvero Matteo Salvini ha il diritto di intestarsi politicamente una storia, un sistema di valori, riducendoli al suo perenne urlare contro gli ultimi delle Terra, contro i reietti, contro i diversi, contro i deboli? Davvero dobbiamo accettare supinamente una destra antieroica e cacasotto che fa la voce grossa con ivu cumprà ma certo non scatena ronde contro i Casamonica? Davvero siamo obbligati a subire tutto questo senza nessun tentativo di ribellione?

Questa sensazione di disagio comporta la diffusa necessità di trovare un punto di ripartenza per molti che non vogliono piegarsi al ricatto di chi, proprio da destra, li bolla come “traditori”. Per molti che intendono levare alta la voce per non far trionfare “mister Hyde”, l’assassino, il pazzo, il lupo mannaro. Dottor Jekyll, la destra sana, moderna, laica, realista, concreta, patriottica, affidabile deve reagire per riprendersi il suo posto nella storia. Non c’è più spazio per gli attendismi: è giunto il momento, per ciascuno, di decidere con quale destra stare. Up patriots to arms. Perché la trincea è lì. Astenersi significherebbe fare il gioco di chi oggi sta occupando abusivamente quello spazio politico grazie a un prevedibilissimo vuoto di potere che nessuno ha saputo occupare. Il salvinismo in fondo è la soluzione finale del berlusconismo.

Bisogna trasformare l’odierna sensazione di disagio in forza liberatrice. E costruttiva. Se la politica è, in definitiva, scrivere il romanzo collettivo di una comunità chiamata Patria, la speranza di una destra “normale”, leale, è che non ne venga fuori un horror ma un racconto a lieto fine. Meno Stephen King e più Frank Capra. Cerchiamo, perciò, di rendere possibile un’altra destra.

Una destra che, ricordando quanto e quale rispetto ha saputo dedicare a Paolo Borsellino, non si schieri oggi con chi, dagli scranni della politica, si faccia scudo del proprio consenso elettorale per attaccare i magistrati. Una destra autorevole, non autoritaria, capace di dimostrarsi pragmatica ma sempre rispettando le fondamenta dello Stato di diritto. Cavalleresca e signorile. Una destra capace di prendere decisioni efficaci senza legarle all’appartenenza ideologica. Una destra che sancisca il primato della politica come arte di costruire il futuro senza subirlo. Una destra che abbia il coraggio di mettere in discussione se stessa e i propri errori. Una destra moderna che, per dirla con Giano Accame, “si rifiuta di cadere nella trappola predisposta dalla pubblicistica faziosa e di maniera che le assegnava il ruolo di cavalcare il malumore razzista”, dimenticando però come “la bontà, la pietas, il dono latino dell’umanità, la capacità della compassione, siano tipiche qualità italiane degne sopra ogni altra cosa di essere preservate”. Una destra che riscopra in sé la forza della bontà. La buona destra.

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