Televisione

Maurizio Ferrini si racconta: “Il mio periodo buio? Sono arrivato a fare serata a 300 euro, quasi a chiedere l’elemosina”

Mara Venier, ex dell’Arbore che lanciò Ferrini nel suo programma cult di seconda serata, l’ha voluto nella nuova edizione di Domenica In. E il comico, 65 anni da Cesena, si confessa a Libero e prima di tutto accende più di un cero ad un paio di madonne televisive

di Davide Turrini

Non capisco ma mi adeguo”. Il comunista romagnolo, fedele alla linea, che vendeva pedalò nel salottino ad angolo di Quelli della Notte, è tornato. Maurizio Ferrini, 65 anni da Cesena, si confessa a Libero e prima di tutto accende più di un cero ad un paio di madonne televisive: Barbara d’Urso e Mara Venier. Quest’ultima, ex dell’Arbore che lanciò Ferrini nel suo programma cult di seconda serata, l’ha voluto nella nuova edizione di Domenica In. E allora per il comico che inventò il profilo leniniano stracotto di sole con improbabili cravatte sgargianti, o il travestimento querulo della signora Coriandoli finito anche a Striscia, è il momento di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, e pure di parecchio mea culpa.

Si inizia dal successo con Renzo Arbore, là seduto in quel divanetto assieme a Nino Frassica/Frate Antonino da Scasazza, Riccardo Pazzaglia, Massimo Catalano ed Andy Luotto versione arabo del deserto. Siamo nel 1985. E Ferrini rifiuta diverse parti con grandi del cinema. Il primo no è a Sergio Leone in veste di produttore di Troppo forte (su Libero viene erroneamente scritto In viaggio con papà che è un film dell’82 non prodotto da Leone ndr). “Mi chiese la disponibilità per il ruolo di Sordi, risposi: aspetti che chiedo consiglio ad Arbore. Poi, non so perché, forse ero in trance, ma lo tenni sulle spine e gli dissi di no. Da allora divenni “lo stronzo che disse no a Sergio Leone”. Poi ancora il no ad un guru del cinema popolare italiano come Aurelio De Laurentiis per un ruolo in Yuppies (“era una parte che con me non c’entrava un cazzo”) e un altro no ad un sofisticato e mai troppo amato Giuseppe Bertolucci: “Mi chiamò per cucirmi addosso un personaggio che non mi sentivo. Rifiutai. E fu la fesseria definitiva, uscii dai giri del grande cinema romano di sinistra prima ancora di entrarci”.

Bilingue, studi in psicologia, scuola di designer con Bruno Munari, Ferrini pur avendo un passato da stand up comedian, rifinito sui palchi newyorchesi, sbarella e decide di interpretare Sognando la California dei Vanzina per poi eclissarsi. “Da allora ho speso quasi tutti i soldi che avevo. Sono arrivato al punto di fare serate a 300 euro, quasi a chiedere l’elemosina. Ero entrato in depressione, l’unica cosa che continuava a girare era la creatività. Ho prodotto talmente tante opere di visual art che ora vorrei farne una mostra”. Gli ultimi due tasselli della carsica carriera ferriniana sono racchiusi nella partecipazione a L’Isola dei Famosi seconda edizione nel 2005, dove arriva in corsa tra i canapi come un cavallo del Palio e raggiunge la finale, finendo secondo; poi nell’incredibile vicenda del baule di monsignor Dardozzi, ritrovato da Ferrini in casa propria, diventato la base per la costruzione del saggio dal successo mondiale, Vaticano s.p.a. di Gianluigi Nuzzi. Una quantità immensa di lettere, bilanci, verbali, bonifici, tratti dall’archivio del Dardozzi, morto nel 2003, una tra le figure più importanti nella gestione dello Ior fino agli anni novanta. “Era una cassetta di un metro per un metro tipo Ikea, pensavo contenesse le rivelazioni di una conversione, mica degli affari sporchi della Chiesa. Mi sentii tradito dalla persona che mi rese depositario di tutta quella dinamite”.

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