“Sa che a Reggio Emilia c’è un braccio speciale dove sono detenuti gli imputati di Aemilia? Uno di loro mi ha detto di venire da lei e di dirle di stare molto attenta e soprattutto di stare lontana dalle finestre dell’ufficio (…) un altro di loro ha detto di stare attenta che sanno dove studia suo figlio“. Parole che avrebbe pronunciato don Ercole Artoni il 18 dicembre 2017 presentandosi nell’ufficio del giudice di Reggio Emilia Cristina Beretti. Le frasi sono citate nell’ordinanza del gip di Ancona che ha disposto gli arresti di un imprenditore finito nei guai per un’evasione fiscale, Aldo Ruffini, e il sacerdote. Il primo è in carcere, il secondo ai domiciliari. Rispondono di minacce a corpo politico, amministrativo o giudiziario. Beretti faceva parte del collegio che decise le misure patrimoniali adottate nei confronti di Ruffini e dopo le intimidazioni subite e fino a oggi al giudice è stata applicata una scorta per la sua protezione. “Dicono che lei – aggiunse in quella circostanza il religioso arrestato – nel collegio di Aemilia ha molta influenza sugli altri giudici e che praticamente decide lei e in più per le cose che ha fatto in passato (…)”.

Secondo l’accusa il sacerdote, 88 anni, in concorso col commerciante Aldo Ruffini a cui erano stati sequestrati i beni per una vicenda di evasione fiscale, fece giungere minacce anche di morte al magistrato “al fine di impedire e turbare in tutto o in parte la regolarità dell’attività processuale e ottenere il dissequestro o l’assoluzione“. Le frasi citate negli atti furono dunque pronunciate il 18 dicembre, quando Artoni, che era già andato da Beretti a maggio-giugno 2017, tornò a dicembre, con il pretesto di fare gli auguri di Natale e facendo intendere di essere a conoscenza delle minacce, in quanto volontario spirituale all’interno del carcere. Ruffini, invece, attorno al 27 gennaio 2018, è accusato tra l’altro di essere andato in un bar vicino alla casa del giudice, locale frequentato da lei quotidianamente, e di aver chiesto al gestore notizie sul magistrato. Ai due indagati è contestata anche l’aggravante di aver fatto le minacce valendosi della forza intimidatrice derivante dalla segreta associazione esistente o comunque supposta in quanto facevano riferimento agli associati della ‘ndrangheta cui fanno a capo i Grande Aracri, processati in Aemilia, processo presieduto anche da Beretti.

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