La documentazione del Servizio studi della Camera sulle "Disposizioni per favorire l'equità del sistema previdenziale" evidenzia che gli assegni verranno decurtati non sulla base dei contributi effettivamente versati, bensì della differenza tra l'età a cui i pensionati retributivi sono usciti dal lavoro e quella prevista dalle norme attuali
“La proposta in esame configura una revisione che prende in considerazione solo i coefficienti di trasformazione legati all’età posseduta al momento del pensionamento, a prescindere da un effettivo ricalcolo contributivo“. E’ il giudizio del Servizio studi della Camera sulla proposta di legge di Lega e M5s per il taglio delle cosiddette “pensioni d’oro“, firmata dai due capigruppo Francesco D’Uva e Riccardo Molinari.
La proposta – da martedì all’esame della commissione Lavoro di Montecitorio – si intitola “Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo, secondo il metodo contributivo, dei trattamenti pensionistici superiori a 4.500 euro mensili“. In teoria dovrebbe quindi prevedere che gli assegni calcolati in base alla media delle retribuzioni degli ultimi anni lavorati – metodo che è stato applicato fino alla riforma Dini del 1995 – siano rideterminati partendo dai contributi effettivamente versati durante la vita lavorativa. Ma i tecnici evidenziano che in base all’articolato gli assegni verranno rideterminati non sulla base dei contributi bensì dell’età di pensionamento: la penalizzazione dipende dalla differenza tra l’età di uscita prevista oggi e quella in vigore quando gli attuali pensionati retributivi hanno lasciato il lavoro.
“Inoltre”, si legge nel dossier, “la proposta non distingue tra chi è andato in pensione (di anzianità) per scelta volontaria e chi è andato in pensione (di vecchiaia) per raggiunti limiti di età. In tal modo, il meccanismo di rideterminazione introdotto, legando il ricalcolo all’età posseduta al momento del pensionamento, non considera le ’età contributiva dei soggetti interessati e le differenze che possono sussistere tra singole situazioni contributive a parità di età”.
Per quanto riguarda i criteri previsti per il ricalcolo, il Servizio Studi chiede “chiarimenti” sulla “metodologia seguita per la rideterminazione della quota retributiva della pensione, sia con riferimento alla costruzione della Tabella A allegata al provvedimento, sia all’individuazione delle tabelle di riferimento dei coefficienti di trasformazione da utilizzare per la rideterminazione”
Dubbi emergono anche sulla platea dei pensionati interessati, perché il comma 1 dell’articolo 1 parla di “trattamenti pensionistici pari o superiori a 90.000 lordi annui”, ma il comma 5 dispone che la rideterminazione vada applicata “alle quote retributive del reddito pensionistico complessivo lordo superiore a 90.000 euro annui”. In più il testo del comma 1 non distingue tra pensioni dirette e reversibilità, mentre il comma 2 applica la rideterminazione alle sole pensioni dirette.