Più che una patata bollente è una vera bomba che se non disinnescata per tempo rischia di mettere tanto la Lega che il M5S in seria difficoltà. Mi riferisco alla proposta della ministra degli Affari regionali, Erika Stefani, di affidare la sanità alle Regioni. Le conseguenze sono facili da immaginare: fine del servizio sanitario nazionale, ogni Regione fa da sé, laissez faire e deregolamentazione, le Regioni deboli si arrangino, crescita dei problemi di sostenibilità finanziaria, dalle diseguaglianze alle discriminazioni.
In una parola fine del diritto alla salute uguale per tutti, fiore all’occhiello del nostro paese rispetto al resto del mondo. Quindi, non uno scherzetto ma qualcosa di straordinariamente temerario e eversivo che il governo Conte, alle prese con i problemi della legge di bilancio, avrebbe potuto risparmiarsi.
Fermo restando che per una serie di motivi, che non ripeto, la sanità ha una natura etica, morale, sociale, scientifica tale da essere indevolvibile, incaponirsi a devolverla, perché il Veneto ha fatto un referendum sull’autonomia, è pericoloso, improvvido e avventato.
In primo luogo sarà il governo ad entrare in difficoltà, la secessione della sanità alle Regioni non è scritta da nessuna parte del programma e men che mai nella parte che riguarda specificatamente la sanità. Tutti coloro che hanno votato Lega e M5S o che sostengono questo governo hanno votato perché queste forze politiche garantisse la difesa del servizio sanitario nazionale e quindi il suo rifinanziamento. Ora se si cambiano le carte in tavola per coloro che ad ogni pie’ sospinto dicono di voler mantenere le promesse è un bel problema.
In secondo luogo è il M5S a pagare il prezzo politico maggiore: la devoluzione appartiene come linea politica storicamente alla Lega, M5S ha sempre dichiarato che un sistema migliore di quello nazionale – universale e solidale – non c’è. Cedere la sanità alle Regioni per il Movimento significherebbe dichiarare la propria subalternità alla Lega ma soprattutto avere la rivolta in casa. Nel programma elettorale del M5S i valori fondanti della sanità pubblica sono sempre stati considerati intoccabili.
In terzo luogo la Lega, è vero che la devoluzione è storicamente roba sua e che il Veneto è strategicamente la sua Regione di punta, ma è altrettanto vero che oggi la Lega è sempre meno nordista e sempre più nazionalista e sovranista. Questo vuol dire che se il governo dovesse devolvere la sanità al Veneto certamente la Lega prenderebbe i voti del Veneto ma è difficile che prenda i voti delle altre regioni che a causa al Veneto si troverebbero in brache di tela.
In quarto luogo la ministra Giulia Grillo. Che ministro è quello che non riesce neanche a difendere il proprio territorio? Se la sanità fosse trasferita altrove, mi dite che cosa ci sta a fare un ministero della Salute? E’ del tutto evidente che se le Regioni avessero la potestà legislativa esclusiva, la sanità finirebbero per rientrare nelle competenze del ministero degli Affari regionali.
Infine il Veneto e i veneti. Dare poteri in più non vuol dire che chi governa la sanità del Veneto ha più capacità. La storia del titolo V dice il contrario:
– senza capacità riformatrici effettive dare più poteri è perfino pericoloso se riflettiamo a tutto quello che hanno fatto di nefasto le regioni in questi anni;
– è inutile trasferire poteri quando chi governa lo fa a sistema invariante perché non ha idee di riforma. Ma per riformare un sistema ci vuole un pensiero riformatore che non va confuso con quello tecnocratico, che il Veneto e le altre regioni non hanno.
Dalla secessione della sanità, inoltre, il Veneto non ha nessun vantaggio finanziario, anzi: il peso finanziario del sistema di tutela finirebbe tutto sui veneti.
Come si vede le ragioni per stralciare la sanità dal provvedimento della ministra Stefani sono tante. Lo stralcio, per quello che mi riguarda, non deve significare non fare niente: la secessione come soluzione è sbagliata ma i problemi della governance esistono e come. Per cui vanno risolti non negati. Secondo me, una mediazione politica soddisfacente per tutti è quella di intervenire, ma per davvero, sulle storture della legislazione concorrente (vedi Titolo V), cioè sugli errori commessi dalla sinistra a partire dal 2001, ovvero ripensare il modello di governo della sanità in chiave autenticamente federalista. Ad una condizione: non si può come è avvenuto in 40 anni cambiare la forma del governo senza che il sistema si adegui ad essa.
Il federalismo corretto dice due cose:
– i poteri vanno decentrati non per la gioia dei governatori ma perché essi vanno condivisi con una comunità;
– la comunità è il vero soggetto della forma federale di governo, essa deve diventare un principio di riorganizzazione del sistema sanitario.
Se non si dà corso a questi due semplici principi, dico che in sanità è inutile fare salti nel buio cioè fare secessioni, altrimenti finiranno con il metterci tutti quanti nei guai.