Partiti in cerca di un lavoro. Gli emigranti esistono anche in Italia. Vanno verso il nord del Paese, verso l’Europa, verso l’America. Lasciano la famiglia come a inizio Novecento, con una ideale “valigia di cartone”. Ecco alcune delle loro storie raccontate a valigiadicartone.ilfatto@gmail.com
Sono un italiano emigrato e in Germania ho raggiunto obiettivi che nel mio Paese non avrei neanche potuto immaginare.
Sono partito davvero con una valigia di cartone, mezza vuota e con gli angoli di latta. Ho lasciato l’Italia prima di diventare maggiorenne per evitare il servizio militare, oggi ho 63 anni e 6 mesi. Avevo con me solo due pullover, due pantaloni e un po’ di biancheria intima. Poi due scarpe e un giubbino di finta pelle. E 50mila lire frutto dei miei risparmi del lavoro in nero nei cantieri. Avevo una licenza media presa alle serali di Teano e in tasca un biglietto di sola andata per Tuttlingen.
Ho iniziato a lavorare per diversi mastri all’età di 5 anni. Tre calzolai, tre barberie e una sartoria. Sono partito per la Germania il 18 febbraio 1973. All’arrivo ho trovato ad accogliermi una temperatura di zero gradi e 20 centimetri di neve. I miei vestiti erano tutt’altro che adatti a quelle temperature, soprattutto le scarpe che sulla neve, oltre a essere pericolose, si inzuppavano d’acqua. La sera dovevo metterle su una stufa a olio per poterle riutilizzare il giorno dopo.
Il 22 febbraio ho trovato lavoro in una fabbrica di utensili e strumenti chirurgici per 6 marchi all’ora. Di più rispetto alle 4mila lire al giorno che prendevo in Italia. Ero sbalordito. Il lavoro a cottimo sporcava, e tanto: la sera mi ritrovavo la polvere metallica sotto i vestiti e persino sotto i calzini. Essendo abituato al lavoro duro dei cantieri in pochi giorni avevo quasi duplicato la mia paga. Col primo stipendio comprai scarpe e giacca adeguate al clima.
Nei primi quattro anni e mezzo ho studiato tedesco e siccome l’agenzia del lavoro statale offriva corsi di formazione pagando l’80% dell’ultimo stipendio per due anni, nel 1978 ho deciso di licenziarmi per tornare sui banchi di scuola. Ho scelto la formazione di metalmeccanico e nel 1980 ho ottenuto la qualifica. Per 2 anni ho lavorato nell’attrezzeria di un’altra ditta sempre nel settore utensili chirurgici. Nel frattempo frequentavo un corso d’inglese serale. La scuola mi era piaciuta e per me era stato tutto molto semplice. Avevo deciso di continuare gli studi, ma la regola era: prima fai due anni di pratica del mestiere e poi puoi proseguire. Quindi allo scadere dei due anni ho inoltrato la domanda all’istituto tecnico in loco e quando ho avuto la conferma, mi sono di nuovo licenziato per tornare altri due anni sui banchi di scuola e prendere il diploma di tecnico industriale.
Era l’estate del 1982. La sovvenzione da parte dello Stato in questo caso era minima: 650 marchi al mese. Pochi per un padre di famiglia con una moglie che lavorava part time e una bambina di 6 anni. Per due anni, oltre alle 8 ore al giorno di scuola, insegnavo due volte a settimana italiano di base a un gruppo di tedeschi alle serali e facevo lavoretti da meccanico. Nel 1984 ho preso il diploma di perito tecnico e la maturità che mi avrebbe dato accesso a un politecnico per studiare ingegneria, ma era nato il secondo figlio e avevo deciso di mettere la famiglia al primo posto.
Visto che parlavo italiano e inglese sono stato il primo del corso ad avere un contratto di lavoro a un mese dall’esame finale. Ho firmato come tecnico commerciale addetto alla programmazione di macchinari Cnc e alla formazione del personale in loco nelle varie ditte clienti in Europa. Che soddisfazione dopo tanti sacrifici. Il mio primo incarico: assistere lo stand di un’azienda alla fiera di macchine utensili a Milano nell’autunno del 1984. Da allora la mia vita lavorativa è stata sempre in discesa. Ho cambiato lavoro 5 volte migliorando sempre posizione e stipendio.
Da programmatore sono passato a capo area Europa, poi a direttore export a direttore generale e infine a amministratore di una piccola azienda. Tantissimi i posti che ho visitato per lavoro. In Italia l’unica regione che mi manca è la Sardegna, in Europa mi mancano Grecia, Moldavia, Serbia, Islanda, Ucraina e Norvegia. Nel mondo mi mancano i due poli e l’Africa. L’Italia, la Germania, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, l’Irlanda, la Svizzera, l’Austria, la Danimarca e la Finlandia le ho girate in lungo e in largo. Sono stato in Polonia, Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia, Slovenia, Croazia, Bulgaria, Turchia, Russia. Ho viaggiato negli Usa, Argentina, Brasile, una buona parte dell’Australia una grande parte dell’India, Singapore, Corea del Sud, Taiwan, Malesia e China.
Ringrazio la Germania per l´opportunità che mi ha dato e aggiungo che sono stati furbi e lungimiranti. Dal 1984 a oggi ho pagato oltre 700mila euro di tasse allo stato tedesco. Senza formazione non ne avrei versati neanche un quarto. Quindi lo stato tedesco mi ha sovvenzionato per 70mila marchi e ne ricevuti in cambio 10 volte tanto. L’Italia dovrebbe solo copiare le cose buone oltre confine, ma anche questo non gli riesce.
Bruno Pompa