Il terzo municipio guidato dal democratico Giovanni Caudo e i no tmb hanno lanciato una mobilitazione per il prossimo 6 ottobre contro il Campidoglio. L'assessore regionale Valeriani ha dichiarato che si sta valutando di ritirare l'autorizzazione. Per la titolare dell'assessorato all'Ambiente Pinuccia Montanari vale quanto già dichiarato: "L’assenza di odori significativi è stata certificata da un verbale redatto dall’Arpa Lazio". Ma sul cattivo odore da giugno indaga la procura
Un impianto di smaltimento vetusto e sovraccarico trasformato in una discarica. A Roma nord, lungo la via Salaria fra i quartieri di Nuovo salario, fidene Serpentara e Villa Spada, dal 2011 sorge un gigante puzzolente che rende la vita impossibile a decine di migliaia di cittadini e preoccupa circa i possibili risvolti sulla salute pubblica. E ogni anno, ogni mese che passa, è sempre peggio. Un tema caldo per un intero quadrante della Capitale, scelto dal Partito democratico per far ripartire le mobilitazioni cittadine: prevista per il prossimo 6 ottobre, infatti, la manifestazione organizzata al neo presidente del III Municipio, Giovanni Caudo, proprio contro le scelte del Campidoglio a trazione M5s in materia di rifiuti.
TMB SALARIO: AUMENTATI I CONFERIMENTI – Il tmb (impianto di trattamento meccanico-biologico per i rifiuti indifferenziati) del Salario doveva essere chiuso da almeno due anni, da quando l’ex assessora capitolina all’Ambiente Paola Muraro prima e l’attuale Pinuccia Montanari poi, ne avevano promesso la graduale diminuzione delle attività fino alla chiusura. Complice una raccolta differenziata sostanzialmente invariata e l’aumento della produzione dei rifiuti, invece, non solo l’impianto è ancora lì, ma nel 2017 ha aumentato i rifiuti lavorati, passando da 117.500 a 155.400 tonnellate, dunque un +32%. Ma attenzione al dato medio giornaliero: su 300 giorni (si escludono le domeniche e le feste comandate) si è passati dal trattamento di 391 a 518 tonnellate al giorno, quando il tmb ne potrebbe lavorare al massimo 300-320 al giorno. In media, si è passati dunque dai circa 60 camion al giorno agli attuali 90 veicoli, uno ogni 7 minuti. “Il tmb del Salario – spiega Caudo a ilfattoquotidiano.it – è diventato il luogo dove si tratta il 45% dei rifiuti Ama. E questo deve finire. Noi protestiamo contro i finti proclami e per la salute dei cittadini”. Per la titolare dell’assessorato Ambiente, invece, vale quanto già dichiarato a fine agosto: “L’assenza di odori significativi è stata certificata da un verbale redatto dall’Arpa Lazio. Ci auguriamo che per il futuro un tema così delicato e complesso come la gestione dei rifiuti a Roma possa essere trattato da attori istituzionali, importanti associazioni e mezzi d’informazione senza cedere alla tentazione della facile strumentalizzazione politica”.
AREE DI STOCCAGGIO “COME DISCARICHE” – Cosa succede quando i rifiuti conferiti restano “in coda” e dove attendono il proprio “turno”? E dopo che questi vengono lavorati, in attesa di essere trasferiti, dove vengono collocati? La risposta si può ricercare in una determina della Regione Lazio del 17 novembre 2017, dove si prende atto “della proposta avanzata da Ama (la società che gestisce i rifiuti per il Comune di Roma, ndr) consistente nell’individuazione di nuove e/o diverse aree di stoccaggio cui destinare i rifiuti prima dell’invio presso impianti terzi debitamente autorizzati”. Sempre nella determina, si legge che i rifiuti da “appoggiare” in questa area possono essere “rifiuti combustibili”, “altri rifiuti prodotti dal trattamento meccanico”, “parte dei rifiuti urbani e simili non compostata” e “compost fuori specifica”. In calce alla determina, anche la piantina del tmb con l’area individuata in giallo: quella che i cittadini definiscono come una vera e propria “discarica”. Insomma: se il Comune di Roma guidato da Virginia Raggi non ha avuto ancora la forza dei numeri dalla sua parte per affrancarsi dall’utilizzo del tmb Salario, anche la Regione di Nicola Zingaretti ha assecondato questa necessità, andando a produrre un’eccezione al vecchio piano regionale rifiuti (quello nuovo è ancora in corso di lavorazione).
IL PATTO PER ROMA MAI RISPETTATO – Ovviamente, l’annunciata chiusura del tmb Salario era legata all’aumento esponenziale della raccolta differenziate, obiettivo che l’attuale amministrazione capitolina ha fissato per il 70% nel 2021. I dati Ispra e Conai raccontano che subito dopo il “patto per Roma” siglato da Gianni Alemanno nel 2012, si sia passati dal 26% al 31% del 2013 e poi con Ignazio Marino in Campidoglio si sia arrivati fino al 41,2% del 2015, ben 10 punti percentuali in più. In realtà, si sarebbe dovuto fare addirittura meglio. E’ di pochi giorni fa la notizia che la giunta Raggi ha scritto alla Corte dei Conti chiedendo il danno erariale per 37 milioni di euro all’ex sindaco Marino (e ai suoi dirigenti) per il mancato rispetto del “patto per Roma”, che imponeva una crescita fino al 55% nel 2016, obiettivi derivanti da finanziamenti ministeriali (per il 2013 dovevano essere quasi 19 milioni). Con l’uscita di scena di Marino, però, i dati di crescita sono crollati. Nel 2016 (con Tronca e Raggi ma senza fondi del ministero) si è passati dal 41,2% al 42,88%, fino ad arrivare fino al 44,33% del 2017, per un incremento di appena 5,1 punti percentuali in due anni.
CONFUSIONE IN FRA COMUNE E AMA – Come si farà ad arrivare al 70% nei prossimi tre anni? Stando i numeri di crescita attuali bisognerà recuperare terreno. Va detto che nell’ultimo anno il Campidoglio e Ama hanno messo mano al lavoro precedente e che in diversi quartieri si sta partendo con una raccolta porta a porta che – sperano dal colle capitolino – possa dare i suoi frutti; allo stesso tempo, e’ stata annunciata la realizzazione delle cosiddette “fabbriche dei materiali”, le quali dovrebbero velocizzare questo processo (anche se i progetti ancora non sono stati ultimati). Tutte procedure sulle quali pesa pero’ la difficile situazione della municipalizzata Ama, il cui bilancio 2017 non è ancora stato chiuso per dissidi (anche politici) fra la Giunta e il presidente Lorenzo Bagnacani. Insomma, la situazione è tutt’altro che lineare.
I PRIVATI SEMPRE IN AGGUATO – Ovviamente, il rischio che le “emergenze” dei territori favoriscano il privato pronto a “salvare la città” è sempre dietro l’angolo. Rinunciare a Salario senza un’alternativa di base significherebbe andare incontro alle stesse conseguenze che portarono la giunta di Ignazio Marino a conferire centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti fuori dalla Regione per sopperire alla chiusura della discarica Malagrotta. Roma, infatti, già sfrutta appieno i due tmb di proprietà della E.Giovi di Manlio Cerroni limitrofi all’ex discarica (attualmente lavorano una quantità di poco superiore a quella dei tmb di Ama), ma fino al 2015 conferiva l’indifferenziato anche presso il tritovagliatore di Rocca Cencia, gestito dalla ditta Porcarelli ma sempre di proprietà di Cerroni. Impianto, quest’ultimo, che secondo i dati pubblicati di recente dall’ex sindaco Marino costava al Comune di Roma ben 170.000 euro al giorno, ma che ora una fetta di lavoratori Ama chiede a gran voce di inserire nuovamente nel circuito di smaltimento per “alleggerire” i tmb Ama di Rocca Cencia e, appunto, di Salario. E l’anziano “ras” dei rifiuti non ha mai smesso di scrivere alla sindaca e ai giornali locali proponendosi di “salvare ancora una volta la città di Roma dalla monnezza”.
LA MANIFESTAZIONE DEL 6 OTTOBRE – Per la chiusura del tmb di Salario, come detto, si è schierato apertamente il III Municipio, guidato da Giovanni Caudo (assessore all’Urbanistica ai tempi di Marino) che nel parlamentino guida una giunta “zingarettiana” di centrosinistra. Appena insediatosi, Caudo ha istituito un osservatorio permanente sul tmb e per mercoledì ha annunciato un incontro con l’assessore regionale all’Ambiente, Massimiliano Valeriani, a cui seguirà, il prossimo 6 ottobre, la “grande manifestazione” che – se il polso del territorio non inganna – si annuncia fortemente partecipata e allo stesso tempo critica con l’attuale amministrazione capitolina.