Luigi Catalano, presidente della Società di ortoflorofrutticoltura italiana, ha spiegato a ilfattoquotidiano.it l'ipotesi illustrata davanti alla Commissione agricoltura: "In Salento non si può puntare sulle specie autoctone, perché ospitano il batterio. Si può fare come in Sicilia, dove si coltivano piante tropicali. Queste specie non possono sostituirsi agli ulivi in aree molto vaste, ma non escludo che in zone circoscritte possano aiutare gli agricoltori"
Là dove crescevano gli ulivi oggi infetti da Xylella, domani potrebbero essere piantati mango e avocado. Non è fantascienza, anche perché c’è già in Italia qualche imprenditore agricolo che ha scommesso sui frutti tropicali, sempre più richiesti dai consumatori europei. Piuttosto si tratta di una possibilità, una boccata di ossigeno per gli agricoltori ormai stremati dalla sciagura rappresentata dal batterio. A parlarne è stato il presidente della Società di ortoflorofrutticoltura italiana (Soi) Luigi Catalano, in audizione in Commissione agricoltura della Camera, sull’emergenza legata alla diffusione dell’insetto in Puglia. All’incontro hanno partecipato anche i rappresentanti della Società entomologica, della Società di agronomia e della Società di patologia vegetale. È lo stesso Catalano a spiegare a ilfattoquotidiano.it che coltivare mango e avocado in Italia è qualcosa che avviene già, anche se ad oggi è impensabile parlare di vaste aree e di uno stravolgimento delle colture. Di certo, secondo i ricercatori, per combattere la Xylella o si consente al territorio dove ci sono le piante infette di convivere con il batterio non essendo ormai più eradicabile o si trovano altre coltivazioni che non possano essere attaccate dal batterio.
COME SCEGLIERE LE NUOVE COLTURE – “Lavorando all’obiettivo di ridisegnare le coltivazioni delle aree devastate della Xylella – dice – non possiamo pensare alle nostre specie autoctone, il mandorlo e il ciliegio, nella coltivazione delle quali la Puglia è leader”. Basti pensare che il mandorlo, arrivato in Grecia dall’Asia circa 2600 anni fa, in Puglia è coltivato da oltre duemila anni. Purtroppo, però, oggi le due piante fanno parte di quelle che ospitano il batterio. “Esiste, inoltre – aggiunge Catalano – una lunga lista di piante che potrebbero essere infettate, una lista che continua a modificarsi, dato che la situazione è in continua evoluzione”.
LA RISPOSTA NELLE PIANTE TROPICALI – Quale scelta fare, allora? “In audizione ho fatto l’esempio di ciò che già avviene in Sicilia, dove in alcune aree si coltivano piante tropicali come mango e avocado. Dubito che queste specie possano sostituirsi agli ulivi in aree molto vaste, ma non escludo che in zone circoscritte possano aiutare gli agricoltori a superare l’incubo della Xylella”. Perché zone circoscritte? Per il presidente della Soi, c’è bisogno di una valutazione che tenga conto di diversi aspetti. “Bisogna verificare se e in quali aree possano essere introdotte alcune piante tropicali – spiega – se il territorio è vocato, se ci siano un clima adatto e abbastanza acqua e se c’è un mercato, dato che l’obiettivo principale è quello di ristabilire un tessuto produttivo”. Non è certo una strada in discesa, ma una opportunità tutta da verificare. Un’ipotesi non così tanto azzardata, considerati anche i cambiamenti climatici.
MANGO E AVOCADO IN SICILIA E CALABRIA – “Davanti alla Commissione ho fatto l’esempio della Sicilia” racconta il presidente della Società di ortoflorofrutticoltura italiana. “Lungi da me pensare di tropicalizzare il Salento – sottolinea – ma queste specie possono salvare dei territori come è avvenuto in Sicilia. Qui hanno iniziato a coltivare mango e avocato in zone dove le serre erano dismesse, dove sono subentrate malattie di altre piante o crisi di mercato”. La conferma arriva anche dalla Coldiretti, che in più di una occasione ha espresso parere positivo per questa nuova tendenza. Oggi in Sicilia ci sono cento ettari coltivati ad avocado, decine a mango nelle campagne tra Messina, l’Etna e Acireale e in Calabria stanno nascendo decine di impianti di altri frutti tropicali.