A due settimane dalla “condanna” del Csm del presidente del collegio che, inprimo grado, assolse gli imputati, finisce con un nulla di fatto il processo per la discarica dell’ex stabilimento Montedison di Bussi (Pescara). La IV sezione penale della Cassazione ha annullato le 10 condanne agli ex manager emesse dalla corte d’Assise d’appello dell’Aquila il 17 febbraio 2017: in particolare, quattro degli imputati vengono assolti per non aver commesso il fatto, per altri sei la corte ha dichiarato prescritto il reato di disastro ambientale, riconosciuto in Appello. La Cassazione ha anche revocato le statuizioni civili, ossia le provvisionali sulla base delle quali le parti, tra cui presidenza del Consiglio, ministero dell’Ambiente, Regione e Provincia, oltre ad associazioni ambientaliste e due privati, potrebbero basare la causa in sede civile. La decisione della Corte è stata appresa con sconforto dai legali di parte civile, secondo i quali il risultato è che ora “la bonifica la pagherà lo Stato”.

Il pg della Cassazione: “Confermare le dieci condanne”
Il sostituto pg della Cassazione Simone Perelli avevainvece chiesto di confermare le 10 condanne. Per il pg era da confermare la sentenza della corte d’Assise d’appello riconoscendo anche l’avvelenamento, ma dichiarando il reato prescritto. Le condanne, che andavano dai 2 ai 3 anni, nella maggior parte dei casi a ex manager della Montedison, sono tutte coperte da indulto.

La sentenza di secondo grado che ribaltò la decisione del Tribunale
Una decisione, quella dell’appello, che era stata opposta rispetto a quella presa alla fine del processo di primo grado il 19 dicembre 2014, quando i 19 imputati furono assolti dalla corte d’Assise di Chieti dall’accusa di aver avvelenato le falde acquifere. Il reato di disastro ambientale, invece, era stato derubricato in colposo e, quindi, prescritto. Su quell’assoluzione, come svelato dal Fatto Quotidiano, erano calate ombre per le pressioni esercitate sui giudici popolari, alcuni dei quali avevano preparato un esposto da inviare al Csm. Che due settimane fa ha emesso la sua sentenza.

L’accusa: “Inquinamento fino a tutti gli anni ’60”
Per l’accusa il polo industriale chimico di Bussi fino a tutti gli anni ’60 avrebbe sversato una tonnellata al giorno di veleni residui della produzione nel fiume Tirino, affluente del Pescara. Per gli inquirenti a conoscere i rischi era la Montedison: l’accusa nella requisitoria del processo di primo grado aveva mostrato un documento agli atti datato 1992, che per i pm si riferiva alla conclusione di una riunione tra alcuni degli imputati: un vero e proprio schema ‘confessione’ in cui si citavano problemi di clorurati nell’acquedotto Giardino. Così come, secondo l’accusa, la Montedison conosceva i rischi derivanti dai materiali sotterrati. In un altro documento interno, anch’esso mostrato nella requisitoria del processo di primo grado, la stessa azienda segnalava che l’acidità delle scorie avrebbe potuto sciogliere i cassoni di cemento che, a fine anni ’70, venivano utilizzati per seppellire i rifiuti industriali nella discarica Tre Monti. E non solo l’azienda, ma sapeva anche il Comune di Pescara, che nel 1972 inviò una lettera a Montedison chiedendo di rimuovere i rifiuti tossici interrati perché costituivano un pericolo di inquinamento concreto per le falde acquifere dell’acquedotto. Adesso bisognerà attendere le motivazioni del verdetto per capire.

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