Valigia di Cartone

“Ho lasciato Foggia per Padova. Qui c’è futuro, ma io mi sento in colpa”

Partiti in cerca di un lavoro. Gli emigranti esistono anche in Italia. Vanno verso il nord del Paese, verso l’Europa, verso l’America. Lasciano la famiglia come a inizio Novecento, con una ideale “valigia di cartone”. Ecco alcune delle loro storie raccontate a valigiadicartone.ilfatto@gmail.com

Amo Padova, è la mia nuova casa. Mi ha dato da mangiare, mi ha restituito la speranza, mi ha conservato l’amore. Mi chiamo Francesco, ho 32 anni ed oggi sono un professionista in procinto di sostenere l’esame per l’abilitazione alla professione di dottore commercialista. Il mio sogno è quello di diventare un giorno un tax advisor di livello.

Sono nato a San Severo in provincia di Foggia. Dicono sia la città dell’olio (quello buono) e del vino, ma a me ricorda molto una città senza speranza. Non avrei mai pensato di andar via, ma credo che la mia sia stata una scelta di sopravvivenza. Di vita o di morte. Mi spiego meglio. Era il 2011, al mattino frequentavo da pendolare la facoltà di Economia dell’Università degli studi di Foggia e nel pomeriggio andavo in un piccolo studio commerciale della mia città per “imparare un mestiere”, o meglio una professione. Riuscivo a fatica a tenere il passo degli esami universitari per la enorme mole di lavoro in ufficio. I miei genitori, a ragione, mi mettevano spesso davanti alla cruda realtà: lavorare per 150/200 euro al mese, in nero, per più di otto ore al giorno, senza garanzie e senza nessuna prospettiva. Non riuscendo, tra l’altro, a tenere il passo degli esami universitari e chiedendo ai miei genitori un continuo sostegno economico. Non era vita questa.

Lo sapevo e ne ero consapevole, ma non vedevo altra strada. Non c’era (e non c’è) lavoro e la mia città era (ed è) in continuo declino sociale ed economico. Nel 2011 uno scatto di orgoglio. La persona che amo si trasferisce per motivi di studio “al Nord” ed un caro amico di infanzia, trasferitosi anche lui da tempo, continua a dirmi che “su” si vive meglio e che potrei finalmente realizzare i miei sogni. Queste sollecitazioni mi danno la forza di staccarmi da quelle radici che mi stavano portando in basso come non mai. Lascio il lavoro (se così possiamo definirlo) e decido di concentrarmi soltanto sullo studio. Riesco a conseguire la laurea triennale in economia alla fine del 2012 e decido di partire per perfezionare i miei studi, iscrivendomi alla Magistrale in Economia all’Università degli Studi di Padova.

Tanta paura e lacrime mi accompagnano in quel viaggio: non sai cosa ti aspetta, con chi vivrai, con chi ti confronterai, se ce la farai con le scarse risorse economiche messe a disposizione dai tuoi genitori e con la speranza di vincere la borsa di studio per gravare il meno possibile sul bilancio familiare. Oggi, dopo aver conseguito la laurea magistrale in economia, dopo aver perso entrambi i genitori, dopo aver trovato lavoro, stabilità e serenità con la persona che amavo e che amo. Il tutto in quella Padova che mi ha accolto, formato e dato un futuro, penso a quelle ore passate in treno durante quel viaggio della speranza. Sono state le ore più importanti della mia vita. È strano. Da “quassù” vedi tutto con un occhio diverso.

Ogni volta che ritorno “giù”, in Puglia, in Capitanata, a San Severo, rivivo le sensazioni del passato, gli odori, i colori che ti hanno riempito la vista per anni, pensi alla fortuna di avere il mare a due passi e rivedi gli amici di un tempo. Ti chiedi perché hai dovuto lasciare tutto questo e non accetti il fatto che qui sembra che il tempo si sia fermato e che sempre meno giovani decidono di restare. Decine e decine di persone che conosco potrebbero scrivere le stesse cose ed oggi non ci si rende conto, o non lo si fa nel modo giusto, che è in atto un vero e proprio processo di desertificazione demografica.

E credo che la considerazione più triste che possa fare nei confronti della mia terra sia questa: rifarei ogni singola cosa e se avessi avuto l’occasione sarei andato via qualche anno prima. Il Sud sta morendo e io mi sento in colpa, mi sento responsabile, ma avevo ed ho il dovere di pensare di dare un futuro migliore ai miei figli che verranno ed alla mia famiglia.

Francesco  Mangione