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Linea Verde, parla il nobile artista che urla: “Sono stato frainteso, non è stato dato un approccio serio”

Non mi stupisco di niente: cosa vuole che sia? Piuttosto è molto triste dover fare un urletto per spiegare alla gente come dietro ci sia una storia di 60 anni di attività con oltre 200mila disegni”, racconta Calvi a ilfattoquotidiano.it. “L'urletto è stato interpretato in malo modo ed è stato estrapolato dal contesto. Insomma, non è stato capito"

di Giulio Pasqui

Non è facile raccontare una vita in pochi minuti di tivù: il rischio è che tutto venga frainteso. Ne sa qualcosa il conte Niccolò Calvi di Bergolo, un vero nobile-artista, che sessant’anni fa è arrivato al Castello di Piovera per valorizzare gli spazi e la creatività di un luogo storico ai confini con le colline del Monferrato, in Piemonte. I più, giovani compresi, lo hanno conosciuto domenica scorsa durante una puntata di Linea Verde: il conte ha messo in scesa il “disegno urlato”, uno dei suoi cavalli di battaglia, davanti a una Daniela Ferolla senza parole. E il video è diventato virale, finendo su tutti i siti e le pagine social.

“Non mi stupisco di niente: cosa vuole che sia? Piuttosto è molto triste dover fare un urletto per spiegare alla gente come dietro ci sia una storia di 60 anni di attività con oltre 200mila disegni”, racconta Calvi a ilfattoquotidiano.it. “L’urletto è stato interpretato in malo modo ed è stato estrapolato dal contesto. Insomma, non è stato capito. Ma non si può neppure raccontare 80 anni vita in quattro minuti a Linea Verde, con tutto il rispetto di Linea Verde. Non è stato dato un approccio serio al mondo che mi circonda: dovevano raccontare cosa c’era dietro a quell’urletto, dovevano parlare della mia dimora storica e dell’impegno svolto per farlo vivere ancora oggi”.

Quell’urlo avrà fatto anche sorridere, ma dietro c’è una storia, appunto. “I miei quadri non rappresentano il soggetto o l’oggetto, ma il verbo, ovvero una parte astratta che parte dall’urlo e si cicatrizza nel tempo: l’urlo e la musica vanno via, il disegno invece rimane”. “Perché il bianco rappresenta tutti i colori, mentre il nero nessun colore?”, proviamo a capire, chiedendolo al maestro che per oltre 10 anni ha insegnato architettura e design al Politecnico di Milano. “Il bianco è il positivo, il nero è il negativo. Il negativo esiste perché esiste il positivo. Il male esiste perché deve esistere il bene. Questa nuova tecnica affascina gli stranieri, i cinesi sono rimasti sbalorditi, invece gli italiani e gli europei non sono ancora preparati a questo linguaggio, stop. Gli stranieri lo capiscono, gli italiani preferiscono andare al mare a Varazze: vadano a Varazze e non ci facciano perder tempo”.

Anche delle righe su un foglio bianco, dunque, possono essere un’opera d’arte? “Veda un po’ lei… E’ arte, come diceva Leonardo Da Vinci, tutto quello che ha al suo interno le leggi universali. Devo dirgliele? Santo cielo, ci metto un’ora: lo spazio, il tempo, la vita, la morte, l’essere, il non essere. Questo è un nuovo modo di fare arte che la gente magari rifiuta, ma allora dovrebbero rifiutare anche la Luna perché è così lontana. Un disegno lo si può fare solo con la carica, la voglia, la forza, altrimenti diventa morto. E’ questo quello che insegno ai bambini quando vengono a trovarci”. Già: lo scopo è cercare di portare più persone possibili all’interno del suo Castello per scorpire l’agricoltura biologica che lo circonda, con un labirinto composto da oltre 600mila chicchi di mais, e la creatività che lo anima: “Sono sessant’anni che provo a farla diventare un’attrattiva intelligente e colta per il tempo libero dei bambini e dei grandi che vogliono avere una nuova lezione di creatività. Però il nostro progetto non viene capito da quasi nessuno: piace ai bambini e, chiaramente, non alle maestre. E allora noi lavoriamo coi bambini, amen”.

La televisione resterà per lui una parentesi: “Non mi piace andare in televisione perché non rende niente. Preferisco coloro che decidono di venire qua nel mio Castello, invece di andare al mare o al supermercato, per provare a conoscerlo e vedere i nostri spazi. Non bisogna fermarsi all’urletto”. C’è chi dice che il conte faccia tutto per apparire e mettersi in mostra: “Apparire dove, scusi? – rivendica lui -. Io non vendo i miei prodotti, non vendo la mia persona e non vendo la mia attività. Sto bene anche nel mio Castello senza dover andar via. Anzi, con la televisione credo di aver chiuso. Proprio perché non ho voglia di apparire: non ci andrò più. Mi interessa apparire nel posto dove cerco di rivalutare la campagna del Monferrato, dove le persone lavorano in silenzio e senza pubblicità”.

Un’ultima particolarità aleggia nello storico Castello costruito attorno al 1400 nella campana di Alessandria: le “strane presenze”, che qualcuno chiama (forse erroneamente) fanstasmi. “Noi non riusciamo a vederle, perché hanno delle energie diverse rispetto alle nostre”, ci spiega. “Non si può dire: ‘Io non credo nelle energie’. Tutto è energia, e ci sono delle energie che non si vedono ma si sentono. Per crederci, però, bisogna mettersi ad ascoltarle. Però a me non piace parlare, preferisco i fatti. Mi trovo in difficoltà a poter esprimere cosa succede”. Per tutti, si legge sul web, “sono previste chiavi che tintinnano, rumori sulle scale e animali imbalsamati che muovono gli occhi. Sono benvenuti, invece, i musicisti, i potei, i disegnatori, gli scrittori. Questi fantasmi amano l’arte”.

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