Il rapporto deficit/pil al 2,4%: e adesso “deve” andare male. Malissimo. Preferibilmente deve succedere come in Grecia. Tempesta finanziaria, bancomat chiusi, e Conte che, alla fine, in un consesso europeo lasci la giacca sulla sedia dicendo, prendetevi anche questa, ma poi uscendo torni a casa dai suoi a dire hanno vinto loro. In via subordinata come in Argentina, ma l’ideale sarebbe il Venezuela. Cacciati dalla comunità internazionale, con i fondi avvoltoio appollaiati sullo spread, fuori dall’Unione europea, uno stato canaglia.
Perché bene non “può” finire. Non “può” nemmeno finire mediocremente, uno zero a zero. Altrimenti che figura ci fanno? Tutte le catastrofi che vedete elencate sulle prime pagine dei giornali non sono circostanze da scongiurare, sono appuntamenti che gli autori si augurano di poter verificare, una per una, e rapidamente perché non è vero che la vendetta è un piatto che si gusta freddo. Metti che non succede niente, metti che qualcosa davvero funziona, poi come si fa? Metti che il project fear, che ha fallito così clamorosamente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna debba fallire pure da noi?
Che si scopra che due anni dopo la Brexit la Gran Bretagna non è alla fame, in cerca della sua Marmite perduta, ma è un paese più o meno come prima, con la sua piena occupazione e le sue ingiustizie sociali, con i suoi leader litigiosi e incapaci di trovare la rotta, un po’ come la Merkel dopo il voto di settembre, o come il deus ex machina Macron che piagnucola “aiutatemi” al 68% di francesi che lo trova scarsino come Presidente.
E sì, lo sappiamo il peggio deve ancora arrivare per la perfida Albione, l’Europa sta facendo di tutto per prepararglielo, ma insomma, in attesa di Keynes, a Londra vige Mark Twain: la catastrofe del 2016 era fortemente esagerata. Ecco, metti che nel 2020 l’Italia sia ancora più o meno in piedi, meglio comunque del ponte di Genova. Che qualcosa sia rimasto qui, non come Fiat, Versace e Candy per dire. E come li si giustifica i titoli delle ultime 48 ore? Sapete le previsioni economiche sono come quelle del tempo. Scientifiche ma non infallibili. Ora chi aveva più o meno previsto come sarebbero andate le cose dopo il 2011 e lo ha scritto, ha tutto il diritto di dire, avete visto.
Mentre chi ci ha raccontato che andava tutto bene madama la marchesa il suo destino politico lo ha incontrato il 4 marzo. Prendete il temutissimo Bagnai, andate sul suo blog Goofynomics, cercate il primo post in assoluto, novembre 2011, I salvataggi che non ci salveranno. Diciamo che se quando non sei “nessuno” azzecchi la diagnosi e indovini la prognosi, poi ti può capitare di esercitare la cura a scapito di chi, titolatissimo allora, sbagliò diagnosi, prognosi e cura. Ma il problema è che sono proprio gli stessi che oggi, volgendo le spalle ai cadaveri allineati, brandiscono il dito indice elencandoci diagnosi e prognosi della nuova malattia. Per dire, abbiamo Alberto Alesina e Francesco Giavazzi.
Ormai insieme a Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart sono un modo di dire. Gli studi sull’austerità espansiva e sul livello di debito che innesca i problemi economici sono in economia come la concezione tolemaica. Gente che ci ha insegnato che il Sole ruota attorno alla Terra, e che vorrebbe essere messo a capo della missione su Marte. I due hanno il coraggio di dire che ci sono valanghe di dati che dimostrano che il taglio delle tasse ha moltiplicatori maggiori della spesa pubblica per la crescita. Sì, come ci sono valanghe di dati perfino del Fondo monetario internazionale che dimostrano che le vostre idee di quegli anni erano palle e che, avendo dato voi la rotta avete distrutto interi paesi.
Oppure c’è lo stuntman Maurizio Martina, incaricato di sbattere contro gli spigoli in attesa che l’Attore possa declamare la sua battuta. “Mettono cento miliardi di debito sulle spalle dei giovani in tre anni”. Quando Enrico, morire per Maastricht, Gianni Letta prese la campanella il debito italiano era di 2107 miliardi. E Il conte Paolo Gentiloni, passando per il Bomba, ha lasciato a Conte 2302 miliardi, che fanno 195 miliardi in cinque anni. Le misure del nuovo governo, possono e debbono essere contestate nel metodo e nel merito. Alcune saranno utili, altre inutili, altre dannose, come tutte le politiche economiche. Moltissime di loro, per quel che vale, non mi piacciono. Ma se la mettete giù così o arriva la grande Catastrofe oppure sono guai.