Il ministro dell'Economia intervistato dal "Sole 24 Ore": "Mai minacciato le dimissioni, anche perché si cresce anche con la stabilità politica. I tecnici del ministero? Stanno contribuendo in modo fenomenale all'azione del governo". E sul piano per la legge di Bilancio: "Debito giù di un punto all'anno. Ho chiesto una clausola di salvaguardia: se il Pil cresce meno del previsto, revisione della spesa"
Per il ministro dell’Economia mancato Paolo Savona l’Italia può raggiungere il 3 per cento, come scrive in un intervento sul Fatto. Per il ministro dell’Economia titolare, Giovanni Tria, le cifre sono più caute, ma la crescita sarà la chiave di quella che anche lui chiama “scommessa“: in un’intervista al Sole 24 Ore, Tria spiega che la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza approvata giovedì dal consiglio dei ministri l’obiettivo sarà una crescita dell’1,6 per cento nel 2019 e dell’1,7 nel 2020. Sull’altro piatto, poi, un calo del debito pubblico di un punto all’anno per i prossimi tre anni. Tria non parla da ministro dimezzato, come la storia dell’ultima settimana sembrava averlo fatto uscire. Spiega di non aver mai minacciato le dimissioni, che, sì, certo, avrebbe voluto un livello di deficit più basso, ma la manovra “non è una sfida all’Unione Europea” e che anzi avrà la possibilità di cambiare il suo giudizio sul 2,4 per cento di rapporto deficit-Pil dopo che il governo – lui in testa – avrà spiegato bene cosa c’è dentro, che i tecnici del ministero stanno dando “un contributo fondamentale, anzi direi fenomenale, all’azione di governo”, che “con i ministri di spesa la mediazione c’è stata: partivamo da un tendenziale al 2 per cento”. E, con un’aggiunta sibillina, che “uno degli elementi di crescita è anche la stabilità politica”. “Aprire un conflitto su una manovra che avrebbe prodotto instabilità politica – dice al Sole – avrebbe determinato un trade off negativo”. E, viceversa, conferma – com’era emerso già nella serata di tensione dell’ok alla Nota al Def – che il punto di equilibrio nel governo si è raggiunto sul fatto che accanto alle misure come reddito di cittadinanza e riforma Fornero (i cui effetti restano da valutare) “il livello di deficit deciso dà spazio a un piano straordinario di investimenti pubblici“.
Eppure la prima frase pronunciata da Tria nell’intervista è questa: “Concordo pienamente con il presidente della Repubblica”. Per tenere insieme le due cose il ministro la spiega così: “Il percorso per raggiungerlo (il pareggio di bilancio, ndr) viene allungato nel tempo per dare spazio all’esigenza fondamentale di rilanciare la crescita”. La discesa del debito prevista dalla Nota “non è forte ma maggiore di quella realizzata negli ultimi anni. E sarà garantita anche da una clausola di salvaguardia sulla spesa che sostituisce le clausole sulle entrate fiscali utilizzate finora in ogni manovra per scrivere obiettivi di deficit e debito poi sempre rivisti”.
Sono stato troppo ingenuo.Leggo intervista a Tria e scopro che le clausole di salvaguardia si sono: se il pil cresce meno, la spesa sarà tagliata per raggiungere comunque il 2,4%. Clausole procicliche!!! Ma vi sembra credibile? https://t.co/MiMKnRCtEr
— Carlo Cottarelli (@CottarelliCPI) September 30, 2018
Tria fa un riferimento esplicito agli ultimi governi: “Le previsioni di crescita su cui era stato costruito il quadro tendenziale di finanza pubblica dal precedente govrno – puntualizza – sono cambiate in modo sostanziale”: per l’anno prossimo la crescita è dello 0,9 contro l’1,4 previsto, così il disavanzo previsto per ora è dell’1,2. “Questo deficit includeva un aumento dell’Iva da 12,5 miliardi – sottolinea il ministro – che il governo ha ribadito fin dall’inizio di voler bloccare. In altri termini già per il 2019 l’eredità effettiva lasciata, nelle nuove condizioni economiche, era di un deficit già sostanzialmente vicino al 2 per cento”. Da quanto si può interpretare dall’intervista al Sole 24 Ore, l’altro punto che ha smosso Tria nel concedere un deficit così più ampio è stata una clausola di salvaguardia che lui stesso ha chiesto e che prevede la revisione della spesa in modo che l’obiettivo di deficit per i prossimi anni non sia superato rispetto al limite posto. “A differenza delle manovre degli anni scorsi – rivendica – quello che scriviamo nel Def è un obiettivo di deficit ‘pulito'”. Mentre negli anni passati la clausola era l’aumento dell’Iva poi puntualmente “disinnescato“, come dice lui. “La sola presenza di questa minaccia di aumenti fiscali, però, è dannosa perché se i cittadini vivono sotto l’incubo di un futuro aumento delle tasse non spenderanno neppure quel che avranno ottenuto in più oggi”.
La scommessa, quindi, diventa (di nuovo, come già in passato) quella degli investimenti pubblici, accanto al “rilancio degli investimenti privati favorito anche dalle misure fiscali”. “Abbiamo messo in bilancio circa due decimali di Pil aggiuntivi per il 2019, per poi arrivare a quattro decimali (6,5 miliardi) aggiuntivi nel 2021 rispetto al tendenziale. In sostanza – spiega Tria – nel triennio gli investimenti pubblici addizionali saranno di circa 15 miliardi e si recupererà metà della perdita accumulata negli ultimi dieci anni in termini di Pil. Nel 2021, la quota di deficit sopra il 2 per cento è tutta di investimenti pubblici aggiuntivi“.
Tria fa sue entrambi i provvedimenti più “politici” del programma della legge di Bilancio, il reddito di cittadinanza marchio dei Cinquestelle e la legge Fornero, pallino della Lega. Il superamento della legislazione sulle pensioni, ammette il ministro, “ha un costo”, ma lo svecchiamento dei lavoratori “è necessario per aumentare la produttività, anche nella Pubblica amministrazione, e favorirà in gran parte i giovani“. Il reddito “dovrà essere contemporaneamente un intervento di stabilizzazione sociale e di politica attiva del lavoro”. Sul rischio che sia un incentivo al lavoro sommerso, “su mio mandato la Guardia di Finanza sta mettendo a punto un piano specifico di controllo, proprio per evitalo”.