Una “marcia della morte” quella dei soldati nazisti che dopo la strage di Sant’Anna di Stazzema hanno fatto terra bruciata nel Bolognese, arrivando al comune di Marzabotto: tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944 le SS trucidarono circa 770 civili, oltre 200 dei quali erano bambini.

E in occasione del 74esimo anniversario delle atrocità naziste, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi ha ricevuto il suo omologo tedesco Heiko Maas proprio sul Monte Sole, il luogo dell’eccidio. “Mai più fascismi”, ha dichiarato Maas nel suo intervento. “Il massacro di Marzabotto è considerato il peggior crimine di guerra sul territorio italiano – ha detto il ministro tedesco – Parlare qui, 74 anni dopo, come ministro tedesco mi riempie di dolore e vergogna” per crimini che “ancora oggi ci lasciano senza fiato per la loro efferatezza e crudeltà“. “Non è scontato che un ministro degli Esteri tedesco possa essere qui dove i miei connazionali hanno portato morte”. Parole piene di significato, in un momento in cui – come sottolinea il sindaco di Marzabotto Romano Franchi – “risultano sdoganati solo per mero calcolo elettorale movimenti razzisti e xenofobi: non dobbiamo arretrare di un millimetro”.

Ma che si scontrano con la realtà, anzi con la storia recente. Perché l’Italia aveva individuato, processato e condannato uno dei responsabili di quei “crimini efferati”: si chiamava Wilhelm Kusterer, era un sergente delle SS ed era stato condannato all’ergastolo nel 2008, dieci anni fa. Ma né Kusterer né gli altri condannati di quel processo hanno mai fatto un giorni di arresti. La Germania, infatti, non ha mai concesso l’estradizione. Nel 2013 la Corte di Karlsruhe ha negato anche l’esecuzione della pena. La Procura di Stoccarda ha aperto un’inchiesta nel 2013 (cioè dopo 5 anni dalla sentenza definitiva dei tribunali militari italiani) per rifare il processo in Italia, ma dopo 3 anni il procedimento è stato archiviato. Le motivazioni? L’ex sergente delle Schutzstaffel all’epoca era ormai troppo vecchio e quindi non era in grado di affrontare un giudizio (eppure poco prima un Comune tedesco l’aveva premiato con una medaglia per meriti civili con tanto di cerimonia). E soprattutto non c’erano “prove sufficienti“, così ha detto la Procura di Stoccarda per un nuovo processo. Kusterer è morto da uomo libero, lo scorso anno, a 95 anni.

Secondo i giudici italiani, per completezza, non ci sono prove che lui personalmente abbia commesso o ordinato direttamente omicidi, ma è certo che Kusterer partecipò come militare rivestito di un grado e come “tutti gli ufficiali e sottufficiali che hanno partecipato all’azione compiuta nella zona di Marzabotto ne conoscevano il carattere di intervento diretto in modo indiscriminato contro la popolazione civile e hanno contribuito, ciascuno per la sua parte, alla realizzazione del crimine”.

Il processo per i fatti di Marzabotto, come per moltissime stragi dei nazisti (spesso compiute con la complicità dei fascisti), fu istruito come altri dal procuratore militare Marco De Paolis e sopo dopo la scoperta nel 1994 del cosiddetto Armadio della Vergogna. A finire in galera per quei 770 morti del settembre-ottobre 1944 era stato solo Walter Reder, comandante della 16esima divisione SS, arrivata sull’Appennino Bolognese per un’operazione antipartigiana contro la Brigata Stella Rossa della zona. Reder catturato dagli americani alla fine della guerra, fu estradato e processato a Bologna. Condannato nel 1951 passò 34 anni nel carcere militare di Gaeta per poi essere liberato nel 1985.

L’archiviazione delle inchieste in patria per Kusterer e gli altri condannati per Marzabotto non è un caso isolato. Nel maggio 2015 la procura di Amburgo aveva archiviato le indagini su Gerhard Sommer – imputato per la strage di Sant’Anna di Stazzema – perché non era in condizione di affrontare il processo.

Come ha ricordato alcuni mesi fa la magistratura militare, quasi nessuno dei criminali di guerra nazisti ha scontato la pena cui la giustizia italiana li ha condannati. Fino al marzo scorso erano 6, tutti ultranovantenni, gli ergastolani ancora a piede libero. Condannati per alcune delle più gravi stragi compiute in Italia, non hanno fatto i conti con la storia, perché le autorità tedesche non hanno concesso l’estradizione o hanno negato la possibilità di esecuzione della pena in Germania. Ma se per ragioni anagrafiche sarà difficile vedere eseguite queste condanne, è ancora possibile per gli eredi delle vittime delle stragi ottenere giustizia attraverso un risarcimento in sede civile. “Si ha il senso di un grande incompiuto – disse a marzo il procuratore generale della Corte militare d’Appello Antonio Sabino, perché la giustizia non può rinunciare a risanare le ferite”. Non solo: “In varie occasioni lo Stato italiano si è costituito in giudizio non per sostenere ma per opporsi alle legittime istanze risarcitorie dei cittadini. Una decisione dettata da ragioni politico-istituzionali dalla quale mi sento di dissentire”.

Tra i criminali di guerra nazisti per i quali l’Italia ancora attende giustizia, tre sono stati condannati all’ergastolo per le stragi della primavera del 1944 sull’Appennino Tosco-Emiliano, a Monchio e Vallucciole. Tutti inquadrati nella Divisione Corazzata Hermann Goering della Wehrmacht: gli allora sergenti Wilhelm Karl Stark e Alfred Luhmann e il capitano Helmut Odenwald. Quest’ultimo, 97 anni, deve rispondere anche della strage di Monte Morello. E ancora, l’ex sergente Robert Johann Riss, condannato all’ergastolo per la strage del Padule di Fucecchio (Pistoia), dove nell’agosto 1944 vennero trucidati 184 civili, in gran parte anziani, donne e bambini. Gerhard Sommer, unico responsabile ancora in vita della strade di Sant’Anna di Stazzema (Lucca), dove furono trucidate 564 persone. Infine, Alfred Stork, condannato all’ergastolo per l’eccidio di Cefalonia. Per lui ancora in corso una
“corrispondenza” tra Italia e Germania per l’esecuzione del mandato di arresto europeo.

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