Prima la depressione, poi un tumore che ha messo fuori uso un occhio. Eppure Licia Setti non si è persa d’animo. Ha capito come essere felice guardando una foto insieme a un giocatore di pallavolo: sorrideva come non faceva da tempo. Da allora quello sport e i suoi campioni, meno inarrivabili di altri, sono diventati più di una passione, quasi una ragione di vita, i palazzetti una casa, gli sportivi e i tifosi una famiglia. In questo modo Licia Setti è diventata una tifosa globetrotter: “Ogni volta torno da un viaggio con un bagaglio di bei ricordi e amicizie”, racconta.
Siamo nel PalaAlpitour di Torino, sabato sera. Il Brasile ha eliminato la Serbia e si aspetta l’incontro tra Polonia e Stati Uniti, poi vinto dai primi al quinto set. Brasile e Polonia si disputeranno l’oro. “Peccato, avrei voluto una finale tra Italia e Serbia”, confida Setti, 52enne di Rovereto che fa la cassiera part-time in un supermercato. L’Italia è la squadra del cuore, la Serbia quella dell’uomo che ha dato una svolta alla sua vita, Nikola Grbic, prima colonna di quella nazionale e adesso allenatore. “Quindici anni fa ho perso mia madre. Avevo passato alcuni anni ad accudirla durante la malattia e quando è mancata mi sono ammalata di questo male oscuro”, racconta.
Ho sentito di avere valore e ho cominciato a star meglio
Stagione 2007/2008: Licia inizia a seguire le partite del Trentino. Una sera si ritrova a una cena tra tifosi e squadra. “Dopo aver chiacchierato con Nikola Grbic dei miei figli, arriva il momento della foto ricordo e lo vivo un po’ come se fosse un obbligo – ammette -. Tuttavia qualche giorno dopo ho ritirato la foto stampata e avevo un sorriso che non vedevo da anni. Ho cercato di capire chi fosse quel campione. Pochi giorni dopo sono andata al palazzetto per vedere gli allenamenti. Quando mi sono avvicinata mi ha salutato per primo, come se mi avesse riconosciuto. Ho sentito di avere valore e ho cominciato a star meglio”.
Quella stagione il Trentino vince lo scudetto. Lei inizia a seguire la pallavolo con più assiduità e piano piano inizia a viaggiare in trasferta con alcuni gruppi di tifosi, anche all’estero, come a Katowice, in Polonia, dove è tornata spesso e ha stretto amicizie con altri appassionati. Questa rinascita, però, passa anche attraverso l’acquisizione di fiducia e autonomia. A quarant’anni passati Licia comincia a viaggiare da sola: “Nel 2010 c’erano i Mondiali a Roma con la nazionale di Andrea Anastasi. A Roma non c’ero mai stata. Ho deciso di passare le mie ferie lì: la mattina visitavo la città, dal pomeriggio mi chiudevo al palazzetto a vedere le partite, la prima a entrare e l’ultima a uscire. Stavo al terzo anello e correvo per raggiungere il bordo campo alla fine delle partite”.
Ogni malato vive il suo male come vuole e io ho deciso di esternarlo, perché nonostante i post siano pubblici possono essere molto personali
Nel 2012 va a Londra per seguire gli azzurri alle olimpiadi: “Sono praticamente tornata a fare la segretaria d’albergo, lavoro che ho svolto in passato. Ho cercato un alloggio a poco prezzo vicino al palazzetto, perché viaggiando da sola è meglio fare attenzione, e ho comprato tutti i biglietti di tutte le partite di tutti i gironi, sempre terzo anello, a 20 sterline”. L’anno dopo, però, la sua vita prende un’altra piega: è a Copenhagen per gli Europei, torna in Italia e sente dolore all’occhio. Una visita rivela la presenza di un tumore: “Nel giro di pochi giorni vengo operata e mi obbligano a dieci giorni di isolamento dopo la radioterapia – ricorda -. Mi hanno lasciato il telefono e il computer per sentirmi meno sola e allora ho raccontato sui social la mia malattia. Ogni malato vive il suo male come vuole e io ho deciso di esternarlo, perché nonostante i post siano pubblici possono essere molto personali, intimi”.
Riceve così moltissimi di messaggi e testimonianze, anche dai giocatori e dagli allenatori che aveva conosciuto: “Hanno fatto il tifo per me più di quanto ne faccia io alle partite”. L’occhio è compromesso, ma non si rassegna e si pone un obiettivo: andare alle Olimpiadi di Rio e rivedere Raphael Vieira De Oliveira, palleggiatore brasiliano del Trentino con cui aveva stretto amicizia: “Ho cominciato a studiare il portoghese, prendevo i corsi in biblioteca, guardavo le telenovelas brasiliane in lingua originale. Sono arrivata a Rio e mi capivano i baristi, i taxisti… Ce l’avevo fatta”. Riesce anche nell’obiettivo: rivedere Raphael e la moglie e conoscere i suoi genitori. Il bello, però, deve ancora avvenire: compra i biglietti per tutte le partite dell’Italia e segue la squadra di Gianlorenzo Blengini nel suo cammino verso la finale persa contro il Brasile e verso una straordinaria medaglia d’argento: “Alla fine Osmany Juantorena mi ha regalato il pallone della finale”. Il pallone, le magliette, le foto ricordo che pubblica su Instagram o appende nell’armadietto al lavoro, la possibilità di conoscere giocatori e allenatori “sono piccole cose, ma mi fanno sentire riconosciuta e importante – spiega -. Alcuni pensano che lo faccia soltanto per la visibilità, ma io non chiedo di essere inquadrata dalle telecamere”.
Entrando in un palazzetto mi sento in una famiglia
Tornata dal Brasile fa un voto e promette di smettere di seguire la pallavolo. Scrive anche al nuovo allenatore del Trentino Volley, Angelo Lorenzetti, scusandosi per la sua assenza che non vuole essere una mancanza di rispetto dovuta all’amicizia col predecessore, Radostin Stojcev. L’assenza non dura molto: “Durante un controllo in ospedale mi dicono che le cose non vanno bene. Mi è caduto il mondo addosso. Uscita dall’ospedale sono andata al palazzetto, ho parlato con Lorenzetti, gli ho raccontato la mia situazione e gli ho chiesto di poter entrare a vedere gli allenamenti e mi ha accettato”. Vedere la squadra giocare la mette di buon umore: “Entrando in un palazzetto mi sento in una famiglia”. Dopo Torino andrà alla Supercoppa italiana a Perugia il prossimo weekend, ma a novembre dovrà tornare in ospedale: “Per superare quel periodo penso già a quello che ci sarà dopo: ci sarà un campionato, altre partite”. E nel 2020 le Olimpiadi a Tokyo: “Ci sto già pensando”.