Sale a 1.200 il numero delle vittime causate dal terremoto di magnitudo 7.4 e dallo tsunami che venerdì hanno colpito l’isola di Sulawesi, in Indonesia. A riferirlo è Aksi Cepat Tanggap, una delle principali ong del Paese, mentre il conto del governo si ferma a 844 morti e oltre 59mila sfollati. Ma si tratta, in ogni caso, di cifre destinate a salire, dal momento che le zone più isolate non sono ancora state raggiunte dai soccorritori.
I soccorsi, infatti, sono complicati dalla mancanza di energia elettrica e dalle difficoltà di spostamento, con le principali strade rese inutilizzabili dalle frane. Una delle situazioni più critiche all’hotel Roa-Roa a Palu, capitale del Sulawesi centrale, la città – insieme a Donggala – più colpita dal cataclisma: due persone sono state estratte vive dalle macerie, ma si teme che possano essercene ancora fino a 60. Intanto, i volontari hanno iniziato a seppellire i corpi già estratti in grandi fosse comuni. A Poboya, nelle colline sopra Palu, si prevede di poter interrare circa 1.300 cadaveri.
Le autorità hanno dichiarato uno stato di emergenza di 14 giorni e il presidente indonesiano, Joko Widodo, ha autorizzato ad accettare gli aiuti internazionali di ong e agenzie umanitarie. Il governo stima che soltanto nel sobborgo di Petobo, nella zona sud della città, abbiano perso la vita 700 persone. Si fa sentire anche il problema dello sciacallaggio: diversi negozi sono stati saccheggiati dalla popolazione in difficoltà per reperire beni di prima necessità, come cibo, acqua e carburante, senza che la polizia intervenisse. Inoltre, a seguito del disastro circa 1.200 detenuti sono scappati da tre carceri tra Palu e Donggala. “Sono sicuro che sono fuggiti perché temevano che sarebbero stati colpiti dal terremoto. Questa è sicuramente una questione di vita o di morte per i prigionieri”, li ha giustificati un funzionario del ministero.
“Le difficoltà di accesso alle aree colpite sono un problema enorme in questa emergenza umanitaria. Anche se non sappiamo ancora qual è la reale estensione dell’emergenza, le proporzioni sono immense con danni catastrofici in molte aree. Grandi edifici sono crollati, le abitazioni sulla costa sono state spazzate via e le molte centinaia di vittime sono tristemente destinate ad aumentare“, ha dichiarato Tom Howells, direttore operativo di Save the Children a Giacarta. “Le organizzazioni umanitarie e le autorità locali stanno cercando, con molte difficoltà, di raggiungere le comunità nella zona di Donggala, dove ci si aspetta ci siano i danni più gravi e il numero più alto di vittime. Abbiamo un fortissimo timore per molti dei centri abitati in quell’area”, ha aggiunto.
L’Onu calcola che 191mila persone, fra cui 46mila bambini e 14mila anziani, abbiano bisogno di aiuti umanitari urgenti: molti di questi si trovano al di fuori delle aree urbane raggiungibili. “Stiamo lavorando con le autorità per riunire i bambini non accompagnati e separati con le proprie famiglie, sostenere l’alimentazione dei bambini in età da allattamento e dei bambini piccoli, fornire acqua pulita attraverso il trattamento mobile dell’acqua. Senza elettricità e con le strade bloccate, moltissimi bambini sono a rischio e senza alcuna protezione”, riferisce l’Unicef. Medici senza frontiere si è attivata e ha inviato sul posto un team di dottori ed esperti di logistica, igiene e potabilizzazione dell’acqua.