E come volevasi dimostrare, tra la sbornia per i sei miliardi (finora) introitati nell’asta per i lotti delle nuove frequenze, alla fine Di Maio è uscito allo scoperto: “La priorità è la salute dei cittadini, per il governo è necessaria un’attenta analisi di impatto da affidare a organismi indipendenti. Posso assicurare che le decisioni saranno prese con gli operatori per cercare di trovare le soluzioni migliori”.

Lo scrivo da tempo. Tra cancro, salute e 5G non c’è compromesso e la soluzione migliore andava trovata anzitempo, perché l’intera popolazione sarà esposta a inedite radiofrequenze prive di valutazioni preliminari del rischio sulla salute pubblica: o Gigabit Society o tutela sanitaria, delle due l’una, perché la grana 5G inevitabilmente passa per un’esponenziale incremento d’infrastruttura tecnologica (migliaia di mini-antenne pure sui lampioni della luce) e l’innalzamento multiplo e cumulativo d’irradiazione elettromagnetica, che dagli attuali (più o meno) 6 V/m di campo elettrico schizzerebbero a 61 V/m, elettrizzando l’aria pubblica come in una bozza di decreto legge in eredità da Galletti e vecchio esecutivo.

Oltre l’AgCom, in questi gironi le compagnie telefoniche si destreggiano in un’asfissiante pressing sui dicasteri di Sviluppo economico e Salute, perché Internet delle cose e wireless di quinta generazione necessariamente cozzano contro minimizzazione del rischio, principio di precauzione e Legge Quadro 2001 (tra le vigenti, la più cautelativa al mondo): se i limiti soglia saranno alzati, per connettere simultaneamente 1 milione di dispositivi per chilometro quadro saremo investiti da uno tsunami elettromagnetico senza precedenti nella storia dell’umanità, 365 giorni l’anno, sette giorni su sette, ovunque bersagliati popolazione e ambiente come mai prima (non solo le città, ma pure campagne, parchi e paesi poco antropizzati, senza contare il progetto del Wi-Fi satellitare coi droni lanciati in orbita).

Il pericolo che Gigabit Society e Smart City diventino forni a microonde a cielo aperto si prefigura un’inevitabile realtà. A loro spese, ignari del pericolo, lo stanno scoprendo i cittadini de L’Aquila, Bari e Matera che, giorno dopo giorno, come sassolini in una fungaia vedono spuntare nuovi ripetitori, sommatoria delle preesistenti stazioni radiobase 2G, 3G e 4G (resteranno in funzione).

“Nonostante la diffusa negazione – scrivono all’Onu ricercatori, medici e scienziati nell’appello internazionale Stop 5G dalla terra e dallo spazio – le radiazioni a radiofrequenza sono dannose per la vita. L’evidenza clinica accertata sulla base di una letteratura forte di oltre 10mila studi peer-reviewed parla di esseri umani malati e feriti, di prove di danni a Dna e di prove epidemiologiche che le principali malattie della civiltà moderna – cancro, malattie cardiache e diabete – sono in gran parte causate dall’inquinamento elettromagnetico. Se i piani del settore delle telecomunicazioni per il 5G si realizzeranno, nessuna persona, nessun animale, nessun uccello, insetto e pianta sarà in grado di evitare l’esposizione, senza alcuna possibilità di fuga da nessuna parte sul pianeta”.

L’attenta analisi sull’impatto biologico del 5G da “affidare a organismi indipendenti” e il bonario compromesso “salute-lobby” lasciato intendere da Di Maio sono il preludio dell’ennesima soluzione torbida e frettolosa, se è vero che agli esiti dell’Istituto Ramazzini (10 anni di studio sugli effetti del 3G e pericolo tumori a cervello-cuore) s’aggiungeranno i risultati definitivi del National Toxicology Program (la più grossa ricerca al mondo sul nesso cellulari-cancro), memori delle controversie legali seguite ai conflitti d’interesse del discusso Studio Interphone lasciato fino al 2011 per 6 anni a bagnomaria dall’Organizzazione mondiale della sanità (tra le polemiche di quanti oggi spingono per una cancerogensi certa) prima di piazzare (al ribasso) i campi elettromagnetici in Classe 2B (possibili cancerogeni).

Caro Di Maio, lanciato il sasso è inutile nascondere la mano, così come è inutile cercare un compromesso all’italiana. In tempi non sospetti, quando in sordina nel 2017 s’avviò la sperimentazione 5G, l’asso-medici Isde avanzò la richiesta di una moratoria “sino a quando non sia adeguatamente pianificato un coinvolgimento attivo degli enti pubblici deputati al controllo ambientale e sanitario (ministero Ambiente, ministero Salute, Ispra, Arpa, dipartimenti di prevenzione), non siano messe in atto valutazioni preliminari di rischio secondo metodologie codificate e un piano di monitoraggio dei possibili effetti sanitari sugli esposti, che dovrebbero in ogni caso essere opportunamente informati dei potenziali rischi”. Adesso è tardi, l’asta è battuta e le aziende aggiudicatarie, contratti alla mano, legittimamente pretendo l’uso di quanto acquistato, che non può viaggiare a 6 V/m (dal 1° gennaio 2019 sarà disponibile l’inesplorata banda 3700 Mhz). Ma il problema è che la salute non è una trattativa di compravendita economica.

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