di Carblogger
La domanda da non fare a Pietro Gorlier, appena nominato capo delle operazioni Europa e Nord Africa (area Emea) di Fca, è come si sente a dover dirigere una divisione che tradizionalmente non fa soldi o più spesso li perde, dopo aver diretto due divisioni che nel gruppo fanno soldi a palate, Mopar e Magneti Marelli. Anche perché una domanda simile meriterebbe una non risposta, tipo che Mike Manley, numero uno di Fiat Chrysler dopo la scomparsa di Sergio Marchionne, gli ha fatto un’offerta cui, come si dice, non poteva dire no. Ne penserò un’altra.
Torinese doc, 55 anni, un papà che ha lavorato 36 anni in Fiat, Gorlier fa parte di quello sparuto numero di manager italiani che ha seguito subito Marchionne nel 2009 in America per l’acquisizione della Chrysler. Che il boss obbligava a parlare in inglese tra loro ad Auburn Hills per evitare di farsi percepire dagli americani come i precedenti “conquistadores” tedeschi di Daimler, stesso percorso fatto dieci anni prima fallendo però nell’obiettivo.
Gorlier guidava dal 2015 Magneti Marelli, gioiello italiano e del gruppo per innovazione, cui il destino sembra riservare ora una cessione e certo non per colpa del suo pilota. In America ha fin qui diretto quanto di più americano ci fosse: Mopar è il marchio che si occupa della personalizzazione dei modelli del gruppo, dalle cromature alle modifiche meccaniche, interventi che per esempio sulla Jeep Wrangler – icona yankee – vengono chiesti “dal 98% degli acquirenti”, ha raccontato Gorlier in una delle sue rarissime interviste.
Uomo cordiale con la stampa che tuttavia non ama frequentare (chissà adesso), è un torinese che tiene molto alla famiglia, ha pure due cani (di cui uno recente) e un coté internazionale che gli viene dall’aver iniziato a lavorare all’Iveco, il marchio storicamente più “estero” di Fiat. Andando un po’ a memoria, Gorlier a volte mi sembra forse l’unico top manager dell’era Marchionne capace ancora di sorridere. Di trasmettere normalità, cioè un valore. Più di una persona che ha lavorato con lui mi ha anche detto che di quel “inner circle” è il solo a non aver scimmiottato il capo, s’intende in quanto a rudezza nei modi di gestire le persone. Marchionne, si sa, ai suoi uomini non chiedeva nulla di più che non chiedesse a se stesso. Clima tosto, che spiega le parole lapidarie di un alto dirigente del gruppo riferite a un suo collega dell’inner circle: “Si comporta come Marchionne senza esserlo”. Non parlava di Gorlier.
In Europa, l’uomo nuovo di Torino ha di fronte una montagna da scalare. A partire dal rilancio dell’Alfa Romeo, un marchio che oggi si tiene in piedi sostanzialmente su due soli modelli. Oppure dall’Italia, dove Fca sta rinunciando a tenere la quota di mercato a tutti i costi con conseguente riduzione dei volumi, pianificata in modo ancora più marcata per il 2019. O ancora, dal promesso (non da lui) obiettivo della piena occupazione negli stabilimenti italiani. Aspettando la versione di Manley.