L’ultimo comunicato del Cern (l’organizzazione europea per la ricerca nucleare), non è uno di quelli che annuncia una scoperta scientifica; è una domanda di scuse agli utenti della rete per aver pubblicato (e in seguito cancellato) le slide presentate dal professor Alessandro Strumia, dell’Università di Pisa, al workshop dal titolo “Fisica delle alte energie e genere”. Le suddette slide, afferma il Cern, attualmente diretto da Fabiola Gianotti, sono “altamente offensive” nei confronti delle donne.
Che cosa dicevano le slide del professor Strumia? Contenevano essenzialmente dati e grafici che dimostrerebbero, in breve, come la fisica sia un affare per uomini (“la fisica è stata inventata e costruita da uomini, non si entra su invito”) e che, dunque, la minore presenza di donne nel settore della fisica dipenda dalle attitudini peculiari dei generi: “gli uomini preferiscono lavorare con le cose e le donne con le persone”. Intervistato dalla BBC, il professore ha rincarato la dose affermando: “Si dice che la fisica sia sessista e razzista. Ho fatto alcuni semplici controlli e ho scoperto che non lo è, che sta diventando sessista contro gli uomini e l’ho detto”.
La posizione del professor Strumia non è nuova, non sorprende, – nonostante egli abbia cercato di far apparire il suo intervento come anti-mainstream –, anzi, si può dire che sia allineata a quella di tanti altri uomini, scienziati compresi, i quali ritengono le donne inadatte alle scienze dure. Il premio Nobel per la medicina, Tim Hunt, per esempio, non più di 3 anni fa, affermò, in un convegno nella Corea del Sud, che “il problema con le donne in laboratorio è che si mettono a piangere appena le si critica”. Abbiamo da poco scoperto che l’Università di Tokyo falsificava i test di medicina per non far entrare le donne all’università, fatto questo accaduto anche in altre università negli Stati Uniti e nel resto del mondo. L’elenco di nomi e istituzioni sarebbe lunghissimo e, sinceramente, anche noioso, perciò preferisco riportare di seguito i dati di alcune importanti ricerche sociali effettuate nel corso degli ultimi decenni, al fine di rendere più facile la comprensione delle ragioni che hanno allontanato le donne dalla fisica.
Partiamo da alcuni dati semplici. La prima ricerca da prendere in considerazione è senz’altro quella di Anne Megaw (1992), essendo stata la prima a raccogliere dati sulla percentuale di studentesse e accademiche in oltre 400 dipartimenti di fisica in tutto il mondo. Le sue statistiche hanno dimostrato che il numero di professoresse (universitarie) di fisica in tutto il mondo era compreso tra il 5 e il 30%. Alcuni dei paesi industriali – come il Giappone, il Canada, la Germania e la Norvegia – avevano il record del minore numero di fisiche. Esistono enormi differenze anche in Europa. Le statistiche dell’Unione Europea, risalenti ad alcuni anni fa, mostrano che la percentuale di donne laureate in fisica nei diversi paesi europei varia dal 25% in Austria, Germania e Svizzera al 45% in Italia, Portogallo e Spagna (Commissione Europea, 2006). Inoltre, le statistiche a livello nazionale rivelano che la percentuale di fisiche impiegate nell’industria, nell’università o in istituti di ricerca varia da regione a regione.
I dati, quindi, confermano che le donne che studiano e lavorano nel campo della fisica sono pochissime. Le ragioni, come dimostrano innumerevoli studi, sono di carattere economico, sociale e culturale. Gli studi biografici e storici, per esempio, ci dicono come molte brillanti fisiche, siano state impiegate per lunghi anni in ruoli minori e subalterni ai loro colleghi maschi: la premio Nobel del 1963, Maria Goeppert Meyer, per fare un nome qualsiasi, tra la sua tesi di dottorato in Germania, nel 1930, e la sua nomina a professore ordinario all’Università della California, nel 1960, ha lavorato (per 30 anni) come “volontaria” mal retribuita in fisica nucleare e, paradossalmente, è durante questo periodo che ha sviluppato il suo “modello a guscio del nucleo atomico”. Gli studi biografici, però, nonostante abbiano il merito di riportare in luce molti dettagli del contesto sociale e lavorativo delle donne scienziate, hanno il difetto di focalizzarsi su pochissimi esempi. Non ci parlano dei grandi numeri.
Altri studiosi sociali hanno dato un importante contributo nella comprensione di alcuni importanti meccanismi. L’antropologa tedesca Agnes Senganata Münst (2009), ad esempio, ha analizzato l’impatto del genere nelle interazioni insegnante-studente presso una università tecnica in Germania. Utilizzando il metodo dell’osservazione partecipante, Münst ha esaminato diverse situazioni nei corsi per fisici e ingegneri, mostrando in dettaglio come piccole iniquità, seppur realizzate in un contesto di uguaglianza formale, aprano la strada a immense diseguaglianze e differenze tra studentesse e studenti di fisica.
Gli studi sui media che hanno analizzato l’immagine delle fisiche nella società dimostrano come molte riviste, anche le più progressiste, non riescano ad offrire una decente descrizione del loro lavoro perché non riescono a immaginare le scienziate come ricercatrici di successo e, contemporaneamente, come donne piacenti.
Hans Pettersson, del resto, l’importante fisico svedese, ha descritto la fisica come un’attività religiosa svolta all’interno di un club di sacerdoti in tutto il mondo e ha dimostrato che la cultura sacerdotale è predominante nella fisica contemporanea, ritenendo questa atmosfera una potente barriera di genere per le donne.
Tonnellate di altre ricerche dimostrano il ruolo subalterno delle donne nel mercato del lavoro e nella produzione (a causa della diseguale divisione del lavoro), a conferma del carattere androcentrico del capitalismo e delle sue università. Pensare le donne soltanto come capaci di lavorare con le persone (sottinteso: prendersi cura dei maschi, fisici compresi) è roba vecchia, puzza di muffa, preistorica. Strumia non fa che ricordarci che la lotta contro il sessismo e le discriminazioni di genere, di classe e di razza è soltanto agli inizi.
PS. L’assegnazione del premio Nobel per la fisica, oggi, a tre studiosi, di cui una fisica canadese, Donna Strickland, è anche una divertente risposta a Strumia e ad altri come lui. Questa notizia mi pare metta la parola fine sulla inutile discussione generata dalla sua relazione.