Quando Matteo Renzi, grazie anche al suo decisionismo pragmatico ha creduto di poter sostituire le popolari lotte delle sinistre italiane con le residue sparute battaglie civili di cui fu eccezionale paladino Marco Pannella, ha commesso un errore madornale perché non ha tenuto conto che la democrazia premia sempre (per definizione) le maggioranze, mentre la difesa dei diritti civili è sostenuta generalmente, oltre che da coloro che ne abbisognano, da organizzazioni generalmente piccole, quindi, solo da minoranze popolari.

Solo nei paesi del nord Europa si trovano situazioni di consolidata democrazia dove le conquiste civili hanno raggiunto livelli di avanguardia grazie ad un adeguato sostegno delle masse popolari. Ma questo è avvenuto in contemporanea ad una consistente crescita economica. Quando questa viene a mancare, anche nei paesi nordici quel sostegno vacilla. Infatti, nel recentissimo voto per elezioni politiche, anche la civilissima Svezia ha dovuto cedere una larga fetta dei suoi elettori tradizionali ad un neo-partito formato da “populisti” che ha sfiorato il 18% e potrebbe in futuro determinare una svolta in questo trend.

E’ dunque impossibile in democrazia attuare legislazioni capaci di garantire oggi nuove tutele per le minoranze?

No, non è impossibile ma occorre un percorso diverso da quello che si segue nel normale confronto a maggioranza. Si può prendere ad esempio la legislazione sul divorzio e sull’aborto.  Pur essendo stati questi diritti sostenuti inizialmente da una minoranza nella popolazione, sono poi diventati maggioranza solida proprio nel referendum proposto da chi li voleva abolire. C’è voluta tutta l’abilità e il carisma di un Marco Pannella in piena forma però per compiere quella trasformazione, ed erano comunque temi che, sia pure coinvolgendo delle minoranze di popolazione, avevano già un forte supporto popolare.

Cosa che certamente non era invece nella scorsa legislatura, quando la “sinistra” democratica, al governo con Renzi dal terzo anno, decideva di modernizzare la legislazione cercando, tra le altre cose, di fare grossi passi in avanti sul piano dei diritti sociali e civili (matrimoni gay, immigrati, tossicodipendenti ecc.) sostituendo queste “conquiste sociali” a quelle tradizionali dei lavoratori.

Non poteva però esserci momento peggiore per farlo! Perché emergevano nella cronaca quotidiana proprio nel momento in cui la crisi economica “mordeva” di più, falciando centinaia di migliaia di posti di lavoro. I lavoratori si vedevano da un lato cancellare dal “loro” governo la tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per regalare all’imprenditoria una flessibilità sulla forza lavoro che mai aveva avuto e dall’altro lato vedevano in TV la raggiante felicità di qualche coppia gay che festeggiava allegramente in Comune le loro nozze unisex.

Al di là del lecito dubbio che ci fosse un largo consenso popolare a quella vista, è certo che non sarà stata una consolazione per nessuno dei licenziati vedere che la loro disperazione veniva politicamente barattata con l’amorevole bacio della coppia gay o con il liberatorio sbarco sulle coste italiane dei miserevoli immigrati provenienti dall’Africa.

Non credo che Matteo Renzi, dopo tutti gli errori già compiuti, abbia pensato davvero di risolvere i problemi economici approvando subito la legge dello “Ius soli”. Lui e i suoi spiegavano però in TV con piglio serioso che concedendo loro la cittadinanza gli immigrati avrebbero dato un forte contributo alle entrate fiscali (pagano le tasse) e avrebbero anche contribuito fortemente al rilancio demografico (gli immigrati fanno figli). Perché i nostri lavoratori invece non pagano le tasse e non fanno figli?

Per le tasse è vero il contrario, i lavoratori sono notoriamente i maggiori contribuenti in Italia, ma anche per la natalità i nostri giovani sarebbero i migliori, se non fossero abbandonati a se stessi, costretti ad andare all’estero per trovare un lavoro qualsiasi.

Il risultato delle sciagurate scelte politiche fatte nella scorsa legislatura hanno prodotto un pessimo risultato nelle elezioni politiche (concluse disastrosamente per Renzi e per il Pd), ma arrivavano dopo la disfatta subita appena un anno prima dalle sue riforme costituzionali, bocciate ampiamente nel referendum. Possibile che lui e gli altri maggiorenti del partito, diretti eredi della gloriosa sinistra italiana ed europea, non abbiano pensato che, proprio nel tempo in cui la forbice della distribuzione dei redditi si allargava sempre più a favore dei ricchi, sarebbe stato impossibile per la sinistra restare a galla semplicemente sostenendo diritti civili sostanzialmente estranei a quanto chiedeva il popolo in un momento di così grave difficoltà?

L’unico “capolavoro” che sono riusciti a creare è stata la fine della “Seconda repubblica”, costata però l’abbandono delle riforme promesse e il naufragio del Partito Democratico dalle cui ceneri tuttavia ha preso vita una maggioranza parlamentare che sostiene un governo bifronte come il Giano della mitologia. Molti lo definiscono un governo populista, e certamente lo è per formazione e programmi, ma ha il sostegno del popolo oltre che una larga maggioranza in Parlamento. Per ora gli manca solo un po’ di “senso e moderazione istituzionale” ma il consenso sale, vediamo cosa riesce a fare.

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