Venti pagine di memoria depositate ieri dal governo Conte, come aveva fatto già il governo Gentiloni il 3 aprile scorso. Il “processo” è quello davanti alla Consulta dopo l’invio da parte della corte d’Assise di Milano degli atti del giudizio in cui è imputato Marco Cappato per la morte di Fabiano Antoniani, 40 anni, noto come dj Fabo, in una clinica svizzera col suicidio assistito il 27 febbraio 2017.
“Ho appreso ora che anche il Governo Conte-Di Maio-Salvini ha presentato memorie contro di me davanti alla Corte costituzionale, affinché il dubbio di legittimità costituzionale presentato dal Tribunale di Milano nel processo per la morte di DJ Fabo sia dichiarato inammissibile, come già aveva chiesto il governo Gentiloni. Anche il senatore Simone Pillon ha redatto memorie per l’associazione “Vita è” di cui è anche socio fondatore” a favore dell’”indisponibilità della vita. Di Pillon non mi stupisco, ma sul governo avevo capito che non volessero affrontare il tema perché non è nel programma di governo. Speravo (e continuo a sperare) che questo significherà lasciare il Parlamento libero di decidere. In ogni caso, noi non ci fermeremo e diamo a tutti appuntamento al XV Congresso dell’Associazione Luca Coscioni”. Al fattoquotidiano.it Cappato ricorda che il governo poteva scegliere di non costituirsi: “Si tratta di una scelta discrezionale, è quella di costituirsi è una scelta politica anche se nel mitico contratto di governo non ci sono questi temi. È comunque del tutto legittimo e comunque trovo che sia pubblicamente rilevante. Vado avanti comunque sia”.
La corte d’Assise di Milano aveva deciso di trasmettere gli atti alla Consulta affinché valutasse la legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio. I giudici avevano stabilito che “la condotta di Marco Cappato non ha inciso sulla decisione di Antoniani di mettere fine alla sua vita” e quindi il radicale andava “assolto dall’accusa di aver rafforzato il suo proposito di suicidarsi”. Anche perché in più occasioni ha prospettato a Fabo la possibilità di cambiare idea, di tornare in Italia. Ma Cappato ha comunque aiutato Fabiano nel suo intento accompagnandolo in Svizzera. Per i giudici milanesi l’esponente non ha rafforzato il proposito suicidiario e la parte della norma che punisce l’agevolazione al suicidio senza influenza sulla volontà dell’altra persona è costituzionalmente illegittima. Due, nella fattispecie, i profili di incostituzionalità: l’equiparazione tra aiuto e istigazione al suicidio (articolo 580 del codice penale) e la conseguente sproporzione della condanna per l’aiuto al suicidio (dai 6 ai 12 anni, come per l’istigazione).
Nella memoria attuale, che secondo quanto apprende il fattoquotidiano.it, ricalca quella precedente, l’avvocatura L’avvocatura dello Stato contestava l’infondatezza dell’eccezione dei giudici di Milano e difendeva la costituzionalità del reato di aiuto al suicidio. In sostanza, questa la tesi sostenuta dalla presidenza del Consiglio, i magistrati non avevano alcuna necessità di rivolgersi alla Consulta. Il perché lo avevano spiegato direttamente dal ministero della Giustizia. Secondo via Arenula è possibile un’interpretazione della norma che sia rispettosa dei principi costituzionali. La legge, spiegavano, sanziona l’agevolazione delle condotte strettamente esecutive dell’atto suicidario e non anche il comportamento di chi, nel rispetto delle volontà del malato, gli fornisca le informazioni e la collaborazione nelle fasi antecedenti al compimento materiale del gesto. La Corte potrebbe perciò definire il giudizio con una cosiddetta sentenza interpretativa di rigetto, cioè fornendo i criteri per una interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Mentre, era il parere del governo precedente, la dichiarazione di incostituzionalità secca della norma potrebbe lasciare impunite condotte che nulla hanno a che fare con la tematica del rispetto delle volontà dei malati terminali.
Nel corso del processo davanti all’Assise sia l’accusa che la difesa avevano chiesto l’assoluzione, mettendo in luce che Cappato aiutò Fabo “a esercitare un suo diritto, non il diritto al suicidio ma il diritto alla dignità” nel morire. In subordine, avevano chiesto appunto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Iniziato l’8 novembre 2017, il processo all’esponente dei Radicali era scaturito prima dall’autodenuncia dello stesso Cappato ai carabinieri di Milano il 28 febbraio 2017, il giorno dopo la morte nella clinica ‘Dignitas‘ di Antoniani, e poi dalla decisione del gip Luigi Gargiulo, che respinse la richiesta di archiviazione della Procura e ordinò l’imputazione coatta per Cappato, spiegando che l’imputato non solo aiutò Fabo a suicidarsi, ma lo avrebbe anche spinto a ricorrere al suicidio assistito, “rafforzando” il suo proposito. Accusa, quest’ultima, che non ritenuta fondata dalla Corte d’Assise, che aveva deciso di assolvere Cappato perché la sua condotta – si legge nelle motivazioni – “non ha inciso sulla decisione di Antoniani di mettere fine alla sua vita e quindi va assolto dall’accusa di aver rafforzato il suo proposito suicidiario“. Il 27 febbraio scorso Cappato aveva ricordato che grazie al caso di Dj Fabo oggi in Italia abbiamo una legge sul Biotestamento.