In una recente intervista a due voci di Anais Ginori su Robinson Repubblica con le scrittrici Nadia Terranova e Annie Ernaux quest’ultima ha dichiarato che “senza la vergogna non c’è letteratura”. Prendo in prestito questa suggestione perché sono convinta che senza il sentimento della vergogna non soltanto non ci possa essere la letteratura come atto creativo, ma nemmeno la politica, se intesa come visione e impegno costruttivo.
Per la politica, quella che si fa a livello individuale o collettivo nel segno dell’inclusione, della lotta alle ingiustizie e del cambiamento, il sentimento della vergogna è centrale: vergognarsi, ad esempio, per lo stato delle relazioni tra donne e uomini, caratterizzate ad ogni latitudine dall’iniquità, dalla discriminazione, dalla violenza è un’emozione propulsiva. Mi vergogno di ciò che vedo, quindi mi impegno perché quello che ora è così non lo sia più. Lo faccio per me, nel nome di chi mi ha ispirato e per chi verrà dopo di me: anche se non sono io ad avere creato questa situazione essa mi tocca così tanto e così nel profondo che devo agire.
Più della rabbia, più dell’indignazione o della collera la vergogna muove la voglia di riparare ai danni generati dalla violenza, perché questa emozione non mi fa scagliare prioritariamente contro chi la provoca, ma mi interpella direttamente nell’intimità del mio essere. Mi fa muovere con urgenza, perché vergognarsi è insopportabile e ciò spinge a liberarsi da questa condizione di disagio e malessere. Scrittura, lettura, cinema, arte sono state potenti alleate per dare un senso all’indignazione provata verso l’ingiustizia (e l’ignoranza complice di chi volge lo sguardo altrove pensando che il sessismo non sia un suo problema) perché il nutrimento della cultura e della bellezza che emoziona è necessario mentre si lotta.
Rossana Rossanda, appoggiando negli anni 80 la lotta delle attiviste del Comitato delle prostitute di Pordenone le cui portavoce sono state Carla Corso e Pia Covre, affermò che i diritti erano sacrosanti ma che non si poteva parlare di una vittoria per le donne, perché la lotta per fare della prostituzione un lavoro si situava dentro all’orizzonte del capitale e del patriarcato. Molte inchieste e lavori di approfondimento sugli esiti della legalizzazione hanno fatto luce sui lati oscuri di questa realtà. Non sullo sfondo ma centrale nell’analisi femminista è il nodo della sessualità maschile, indagato da anni nei reportage della blogger Ricciocorno: un aspetto che resta spesso in ombra quando si parla con leggerezza e banalità del ‘mestiere più antico del mondo’ senza considerare che è la richiesta, e non l’offerta, il vero problema.