In principio voleva cambiare il nome all’aeroporto di Palermo. Quel “Falcone- Borsellino“, a suo parere, era una “scelta di marketing sbagliata per un territorio a vocazione turistica“. Sarebbe stato meglio intitolarlo “ad Archimede o ad altre figure della scienza, figure positive”, come se i due magistrati uccisi da Cosa nostra non lo fossero. Adesso che è tornato presidente dell’Assemblea regionale siciliana, invece, Gianfranco Micciché si è fatto passare la voglia di cambiare i nomi alle cose. La sala più prestigiosa di Palazzo dei Normanni, per esempio, è rimasta intitolata a Piersanti Mattarella, il presidente ucciso dalla mafia nel 1980, fratello dell’attuale capo dello Stato. Piccolo problema: quella stanza da alcuni mesi ospita indagati, imputati, perfino condannati in via definitiva per fatti di mafia. È il new deal ipergarantista del Parlamento siciliano, un nuovo corso che arriva quasi a riscrivere la storia dell’isola.

Gli imprenditori con i beni sequestrati – L’ultima occasione è stata il convegno del partito Radicale di martedì. S’intitolava “otto proposte per l’amnistia” ma l’obiettivo era uno solo: riformare la legge sulla confisca dei beni riconducibili alle associazioni mafiose. In prima fila ecco i rampolli di due famiglie colpite dalle misure di prevenzione: Pietro Cavallotti e Massimo Niceta. Il primo è l’erede di una dinastia di Belmonte Mezzagno, attiva nel settore della distribuzione del metano, alla quale sono stati confiscati parte dei beni perché considerata vicina a Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano. “Il sottoscritto non ha alcun procedimento penale, non ha alcun procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione. La mia famiglia, mio padre, è stato definitivamente assolto dall’accusa di mafia e nonostante ciò gli hanno confiscato il patrimonio, per fatti che nel processo penale sono stati ritenuti insussistenti. I miei cugini sono processati perché avrebbero ricevuto in eredità l’esperienza lavorativa dei padri”, dice Cavallotti, che da mesi cerca l’ospitalità dei giornali per raccontare la sua versione. Che è la stessa di Niceta, la cui famiglia è invece specializzata nella gestione di negozi d’abbigliamento. “La Sicilia perde quotidianamente pezzi e non li perde solo per colpa della mafia ma per colpa di un’antimafia cieca che non vuole capire o, forse peggio, ha capito troppo“, sostiene Niceta che recentemente è riuscito ad avere una parte del suo patrimonio, ma – secondo l’edizione palermitana di Repubblica – è ancora indagato per riciclaggio insieme a Giuseppe Guttadauro, il boss di Brancaccio. Ad accusarlo c’è anche suo cugino, Angelo, che invece si è dissociato dalla famiglia diventando un testimone di giustizia. Massimo Niceta, invece, si considera una vittima della giustizia, anzi, una vittima dell’antimafia: si è costituito parte civile nel processo in corso a Caltanissetta a Silvana Saguto, l’ex zarina delle misure di prevenzione, e da tempo appoggia la battaglia dei Radicali per modificare la legge La Torre sulla confisca dei beni ai mafiosi.

“Hanno cambiato la destinazione della sala Mattarella” – Un’iniziativa che ha sollevato le polemiche da parte dell’opposizione. “In questo modo si lancia un messaggio che, in Sicilia, potrebbe avere effetti devastanti“, dice Sergio Tancredi, consigliere regionale del Movimento 5 stelle. “Ormai Miccichè ha praticamente cambiato la destinazione d’uso della Sala Mattarella, spostando sempre più in basso l’asticella della decenza. Purtroppo credo non si tratti di semplice casualità ma di un chiaro messaggio di sfida verso chi vuol stare lontano da certi ambienti. A mio avviso cerca anche la polemica ad ogni costo per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica”, sostiene Giovanni Di Caro, altro deputato dei 5 stelle. “La sede delle istituzioni siciliane per eccellenza, ovvero l’Ars, dovrebbe dare spazio e fare da cassa di risonanza a chi ha denunciato la mafia ed esaltare i servitori dello Stato. Invece parte della politica siciliana continua a fare l’esatto contrario, ovvero esaltare gli oppressori e non gli oppressi. Un pessimo segnale”, attacca l’eurodeputato Ignazio Corrao.  I radicali, però, difendono i loro relatori.”I Cinque stelle, che sono tanto per la democrazia diretta, dovrebbero sapere che è la nostra Costituzione a prevedere le proposte di legge di iniziativa popolare. Queste persone  non hanno perso i diritti politici e quindi possono parlare e raccontare la loro esperienza”, dice Rita Bernardini.

I precedenti: Cuffaro, Mori, Dell’Utri – Miccichè, evidentemente, è d’accordo con lei. Il leader di Forza Italia è rimasto affezionato anche a Totò Cuffaro, a sua volta accolto poche settimane fa in quello che un tempo era il suo contrastato regno. L’ex governatore, che ha scontato la sua condanna per favoreggiamento a Cosa nostra, è andato a relazionare sulle condizioni dei detenuti in carcere, avendo trascorso cinque anni e undici mesi in una cella di Rebibbia. “Tu sei l’unico che ha pagato per tutti. Totò, qui sei il benvenuto, questa è casa tua”, era stata l’accoglienza di Micciché. Che prima ancora aveva aperto le porte di Palazzo dei Normanni a Mario Mori e Giuseppe De Donno, i due ufficiali dei carabinieri simbolo del processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Nell’aprile scorso la corte d’Assise li ha condannati rispettivamente a dodici e otto anni di carcere per violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. Del processo sul Patto Stato – mafia erano gli imputati principali, insieme a una altro personaggio molto caro a Micciché: Marcello Dell’Utri. Proprio al’ex senatore Micciché aveva rivolto un pensiero nel giorno della rielezione – dopo dodici anni – al vertice del consiglio regionale siciliano. “Nei confronti di Dell’Utri c’è stata una cattiveria infinita. Sono stato zitto, perché mi hanno detto che dovevo essere votato ma ora parlo. Contro di lui c’è stata inaudita cattiveria da parte di qualcuno che si arroga il diritto di essere Dio”, diceva riferendosi al rigetto dell’istanza di scarcerazione presentata dai legali del fondatore di Forza Italia. Nel frattempo a Dell’Utri sono stati riconosciuti gli arresti domiciliari per motivi di salute: tra sconti di pena e buona condotta dovrebbe tornare libero tra circa un anno. E magari ambire, chissà, a un invito all’Assemblea regionale siciliana.

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