Coinvolti nell'inchiesta ci sono dirigenti scolastici, insegnanti e personale di segreteria. I reati contestati sono, a vario titolo, l'associazione per delinquere, il falso commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico, la rivelazione del segreto di ufficio e l’abuso di ufficio
Aveva trecentomila euro in contanti in una scatola di scarpe. Denaro che Gaetano Cani si è visto sequestare dagli uomini della guardia di finanza. L’ex deputato regionale e dirigente scolastico è tra i 110 indagati – tra insegnanti, presidi e personale di segreteria – da parte della procura di Agrigento. L’inchiesta si è concentrata su quattro scuole paritarie accusate di “vendere” diplomi: l’istituto Pirandello di Licata, il Pirandello di Canicattì, l’Alessandro Volta di Canicattì, tutti nell’Agrigentino, e l’istituto San Marco di Acireale (Ct). Ventidue i diplomi taroccati.
A raccontare i dettagli dell’inchiesta “Diplomat” sono stati il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, e i pm Simona Faga e Paola Vetro insieme al colonnello Giorgio Salerno, comandante provinciale della guardia di finanza di Ragusa (città da dove era partita l’indagine per il coinvolgimento di una scuola di Ispica) e al maggiore Luigi De Gregorio. “Siamo in presenza di una vera e propria organizzazione a delinquere dove ognuno aveva un ruolo ben preciso nella vendita dei diplomi. Gli alunni e i loro genitori, al momento, non sono indagati. Nella lista dei 110, a cui stiamo notificando l’avviso di chiusura dell’inchiesta, ci sono pubblici ufficiali in servizio nelle scuole. Si tratta di insegnanti, dirigenti scolastici e personale di segreteria”, ha detto Patronaggio. “Studenti e genitori – ha aggiunto – sono stati interrogati come persone informate dei fatti ma è chiaro che sapevano di avere beneficiato di lezioni false, di esami truccati e altro. Quindi la loro posizione è al vaglio”.
“L’attività scolastica – hanno spiegato il colonnello Salerno e il maggiore De Gregorio – era del tutto fittizia: niente lezioni e niente interrogazioni. Risultava solo sulla carta perché gli studenti pagavano consistenti quote di iscrizione. Quando si doveva fare i conti con le commissioni di esami esterne, si faceva in modo di risolvere la questione comunicando prima le domande e dando in anticipo i temi delle prove scritte. Tutto avveniva con grande sfrontatezza”. I reati contestati ai 110 indagati sono, a vario titolo, l’associazione per delinquere, il falso commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico, la rivelazione del segreto di ufficio e l’abuso di ufficio.
L’inchiesta è partita da una segnalazione-denuncia. “È stata raccolta una preliminare segnalazione che ci ha indotti ad indagare – ha spiegato Salerno -. C’era una struttura che permetteva di costruire un percorso scolastico falso: dagli esami mai sostenuti fino ad inquinare anche la prova di maturità fornendo anticipatamente il tema svolto ai candidati”. Secondo quanto emerso sarebbero state gestite anche le prove orali degli esami di maturità con delle tesine costruite a tavolino.