Iron Ox è una delle prima aziende a scommettere sulla cultura idroponica automatizzata. Tramite i robot sperano di trovarsi uno spazio sul mercato e cambiare la catena produttiva.
Ha aperto negli Stati Uniti la prima fattoria robotizzata, creata dalla società Iron Ox. Sfruttano la coltura idroponica e la robotizzazione per produrre in 800 metri quadri (al coperto) circa 26.000 pezzi di verdure a foglia verde l’anno. È un modo insolito per presentare questi dati perché in genere si parla di peso, ma si può dire che per produrre la stessa quantità una coltura tradizionale richiederebbe molto più spazio; un vantaggio dovuto più al sistema idroponico che all’uso di robot ma comunque rilevante.
La società ha aperto la propria sede nei dintorni di San Francisco (in California, dove sennò?), e oltre agli 800 metri della coltivazione c’è un altro po’ di spazio dove lavora il personale umano – che si occupa dello sviluppo tecnologico, degli aspetti commerciali e dell’amministrazione. La società ha già avviato la produzione ma non ancora le vendite; ci sono trattative in corso con ristoranti e negozi locali, e nel frattempo i prodotti finiscono alla mensa interna e regalati in beneficenza.
Prima che il business decolli potrebbe volerci del tempo considerata l’enormità dell’investimento. La serra idroponica consente infatti di aumentare la produzione ma è comunque più costosa rispetto ai sistemi tradizionali. Inoltre ci sono robot di ultima generazione, di certo non economici. Insomma, servono davvero tanti soldi per avviare tutto questo.
Per esempio, Iron Ox ha dovuto sviluppare un software che chiamano The Brain, e che serve a coordinare i robot stessi, controllandone la posizione e i movimenti, a monitorare i livelli di azoto e la temperatura, a gestire in modo quasi automatico tutto il processo produttivo. Quasi, perché per alcune cose l’intervento di persone in carne e ossa è ancora necessario – ma l’obiettivo è di arrivare all’automazione totale entro breve termine. I robot per ora possono raccogliere i prodotti quando sono pronti, spostarli da un “vaso” all’altro quando è il momento, o anche trasportare intere strutture da quasi 400 chili. Il tutto senza danneggiare le delicatissime foglie.
Già ma perché affrontare uno sforzo simile per produrre lattughe e spinaci che giocoforza costeranno più delle altre? Le possibili ragioni sono diverse: tanto per cominciare nell’area in questione c’è carenza di manodopera agricola, e l’uso dei robot potrebbe essere l’unica soluzione per farvi fronte. “Se non troviamo un altro modo di portare persone negli USA per lavorare, l’automazione è l’unico modo di sopravvivere”, afferma infatti Yiannis Ampatzidis (Docente presso l’Università della Florida, Ingegneria agricola e biologica).
C’è poi il fatto che questo tipo di coltivazione si può realizzare molto vicino o anche dentro alle città: così facendo si realizza il sogno del “chilometro zero”, riducendo i costi di trasporto sia economici che ambientali. E diventa possibile portare nei negozi prodotti più freschi e di maggiore qualità. Inoltre sul lungo periodo i costi dovrebbero ridursi e diventare competitivi con le culture tradizionali.
E c’è anche la questione del consumo di suolo, a cui si può e si deve dare una risposta complessa e articolata di cui fa parte anche la coltura idroponica. Tra gli obiettivi c’è anche una maggiore integrazione tra città e natura, con ambienti urbani meno cementificati e più ricchi sia di giardini decorativi sia di luoghi per la produzione alimentare – ne sia esempio il bosco verticale di Milano.