Il direttore del Tg1 e l'ex giornalista di La7, ora senatore del Movimento 5 stelle, si scambiano accuse a distanza dalle colonne del Corriere della Sera. Al centro del botta e risposta la scelta del telegiornale della rete ammiraglia di aprire l'edizione delle 20 di domenica scorsa con il servizio sulla manifestazione del Pd. Nel frattempo le nomine al vertice dell'informazione e delle reti di viale Mazzini sono ancora tutte o quasi al centro del dialogo tra l'esecutivo e i nuovi vertici del servizio pubblico: ecco chi sono i papabili
Lo ha accusato di “infantilismo giornalistico” , di aver fatto un “dispettuccio” volontario al governo piazzando il servizio sulla manifestazione del Pd in apertura del Tg1 di domenica scorsa. Per Andrea Montanari, però, quelle di Gianluigi Paragone sono solo scuse, “uno scandalo politico che non esiste“, inventato perché “si vuole cacciare un direttore autonomo e vincente“. Con le nomine al vertice dell’informazione e delle reti di viale Mazzini ancora tutte o quasi al centro del dialogo tra l’esecutivo e i nuovi vertici del servizio pubblico, il direttore del Tg1 e l’ex giornalista di La7, ora senatore del Movimento 5 stelle, si scambiano accuse a distanza dalle colonne del Corriere della Sera. Un botta e risposta aperto nei giorni scorsi da Paragone con un’intervista al quotidiano di via Solferino. “La notizia della manifestazione del Partito democratico di domenica scorsa non era da apertura del telegiornale delle 20. Del resto, sul Corriere della sera di lunedì la stessa notizia era confinata a pagina dieci”, era il j’accuse del capogruppo M5s in Vigilanza Rai. “I telegiornali vendicativi – aveva rincarato la dose Paragone – sono una scorrettezza, a maggior ragione se sono pagati coi soldi del canone. Quello che è successo mi è sembrato piuttosto un dispettuccio, un infantilismo giornalistico“.
Una polemica che per Montanari è “penosa” e “ridicola“. “Paragone da giornalista, era un simpatico pirata. Da politico mi sembra abbia preso i peggiori vizi a partire da quel pressappochismo che si fonda sul totale disprezzo dei fatti e della verità”, dice il direttore del tg della rete ammiraglia al quotidiano di Luciano Fontana. Che poi spiega come “domenica sera il Tg1, il Tg2, il Tg3, il Tg5, il Tg La7” abbiano “tutti aperto con la manifestazione del Pd, alcuni con più spazio di noi. E allora perché Paragone ha scelto proprio il Tg1?”, si chiede Montanari per poi rispondersi da solo: “Mi punge vaghezza di pensare che quando si vuole cacciare un direttore autonomo e vincente bisogna inventare una scusa, uno scandalo politico che non esiste“. L’accusa di infantilismo? “Enrico Mentana, Clemente Mimun, io, siamo una schiera di bamboccioni con le braghe corte che si divertono a fare chissà quali scherzi? È una gigantesca fesseria che, l’ho già detto, nasconde ben altro”.
Nel frattempo tra viale Mazzini e Palazzo Chigi continuano a viaggiare liste di nomi: sono quelli dei giornalisti che si contendono le direzioni dei tg, ma anche delle reti del servizio pubblico. Tra i papabili per ogni ruolo ci sono i “trasversali” Alberto Matano, Franco Di Mare e Ludovico Di Meo del Tg1, il direttore di RaiNews Antonio Di Bella, considerato dal M5s come “figura terza” e quindi maggiormente spendibile, Gennaro Sangiuliano e Paolo Corsini, considerati vicini alla Lega. Tra gli esterni spuntano i nomi di Paolo Del Debbio ma anche della direttrice Adnkronos, Alessia Lautone. Il piatto forte, ovviamente, è la direzione del Tg1, una poltrona sulla quale i 5 stelle vorrebbero piazzare un nome forte, esterno alla Rai e quindi anche a qualsiasi accusa di lottizzazione. Un incarico che, secondo Repubblica, Luigi Di Maio vorrebbe proporre a Enrico Mentana. Il problema è legato allo stipendio: in Rai infatti il tetto è fissato a 240mila euro. Un salary cup che avrebbe già provocato qualche fastidio a Marcello Foa, che era convinto, appunto, di guadagnare la cifra massima prevista come l’ex presidente Monica Maggioni. Per chi come lui non è stato direttore prima di essere promosso, però, lo stipendio è più basso: si aggirerebbe intorno ai 160mila euro all’anno.