L’attivista yazida vittima dell’Isis e il ginecologo congolese impegnati da anni contro gli stupri di guerra. Il premio Nobel per la pace 2018 è stato assegnato a Nadia Murad e Denis Mukwege “per i loro sforzi per mettere fino all’uso della violenza sessuale come arma in guerre e conflitti armati”. I due sono stati scelti all’interno di una lista di 216 persone e 115 organizzazioni.
“Denis Mukwege“, ha spiegato l’Accademia svedese nell’annunciare la premiazione, “è un medico che ha trascorso gran parte della sua vita aiutando le vittime delle violenze sessuali nella Repubblica democratica del Congo. Mukwege e il suo staff hanno curato migliaia di vittime. Il ginecologo ha ripetutamente condannato l’impunità per gli stupri di massa e ha criticato il governo congolese e quelli di altri Paesi per non aver fatto abbastanza per fermare l’uso della violenza sessuale contro le donne come arma di guerra”. Nadia Murad è invece una delle circa 3000 ragazze e donne yazide che sono state vittime di stupri e abusi da parte dell’Isis. Murad “è stata vittima e testimone degli abusi e ha dimostrato un coraggio raro nel raccontare le proprie sofferenze e parlare a nome di altre vittime”.
L’autobiografia di Murad “L’ultima ragazza” è stata pubblicata quest’anno da Mondadori con la prefazione dell’avvocato Amal Alamuddin ed è un simbolo delle sofferenze al limite del genocidio subite della sua comunità, gli yazidi, considerati dal Califfato adoratori del diavolo. Nel 2014 i miliziani dell’Isis sono arrivati a Kocho, il villaggio dove Murad abitava, nell’Iraq settentrionale, e l’hanno rapita insieme ad altre ragazze e bambini. Nadia è poi riuscita a scappare, come racconta nel suo libro. “A un certo punto non restano altro che gli stupri. Diventano la tua normalità. Non sai chi sarà il prossimo ad aprire la porta per abusare di te, sai solo che succederà e che domani potrebbe essere peggio”, scrive Murad. La liberazione, racconta, è dovuta a un caso fortuito: quando il carceriere per disattenzione non ha chiuso a chiave la porta della casa di Mosul in cui era prigioniera, Nadia ha colto l’occasione ed è fuggita. Diventata ambasciatrice di buona volontà delle Nazioni Unite (ha vinto anche tra gli altri il premio Sakharov 2016 e Donna dell’anno 2016) la giovane persegue con tenacia il duplice obiettivo di divulgare il più possibile lo sterminio di migliaia di yazidi e di veder processati i suoi aguzzini come Abu Omar, il famigerato Barba Bianca. Una prima vittoria l’ha già ottenuta, con il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha istituito un team investigativo per raccogliere le prove dei crimini dell’Isis.