Il trasferimento di sede avrebbe comportato un pesante rallentamento del'iter giudiziario. E a questo avevano puntato i difensori con un ricorso che aveva preso di mira soprattutto la magistratura vicentina. Per la Suprema corte, però, non c'è nessun condizionamento ambientale
VICENZA. A sentire gli avvocati dei vertici della Banca Popolare di Vicenza, nel capoluogo berico si vivrebbe in uno stato di guerra giudiziaria e di pesante condizionamento ambientale nei confronti dei giudici che dovranno decidere le sorti del presidente Gianni Zonin e degli altri imputati. Ma la corte di Cassazione ha stabilito che la richiesta di trasferire gli atti a Trento non è fondata. La sede naturale è Vicenza ed è lì che il processo andrà celebrato. Esultano i cinquemila risparmiatori che si sono costituiti parte civile, piccola avanguardia dei circa 120 mila, tra azionisti e clienti, che hanno visto azzerarsi il valore delle loro azioni, in molti casi i risparmi di una vita.
“Grande vittoria dei risparmiatori e dell’Associazione Noi che credevamo nella BpVi e in Veneto Banca presente con pochissimi altri, grazie al gruppo di avvocati che ci segue, per dimostrare l’infondatezza della richiesta di spostamento e ottenere il rigetto così come è poi avvenuto”, hanno annunciato i portavoce. Che hanno aggiunto: “Adesso, avanti tutta con il processo”. “Agli imputati è andata anche bene, che non abbiano trasferito tutto a Trento”, è l’opinione dell’avvocato Renato Bertelle, che assiste un folto gruppo di parti offese. “A Vicenza la procura si è dimostrata addirittura benevola visto che il presidente Zonin non è mai stato arrestato, come accaduto a Treviso per l’amministratore delegato di Veneto Banca. E Zonin ha continuato ad avere un peso all’interno dell’istituto di credito anche dopo le dimissioni”. Inoltre, “a Trento avrebbero rischiato di finire sotto inchiesta altri membri del consiglio di amministrazione, del collegio dei sindaci che non si sono accorti dei metodi di gestione di PopVi. Ma anche la società di revisione è risultata indenne dalle indagini: nei suoi confronti faremo una causa civile per il risarcimento dei danni subiti dai risparmiatori”.
Il trasferimento di sede avrebbe comportato un pesante rallentamento del’iter giudiziario. E a questo avevano puntato i difensori con un ricorso che aveva preso di mira soprattutto la magistratura vicentina. Al primo punto “la campagna mediatica che ha coinvolto pesantemente l’Autorità giudiziaria vicentina in ordine a una presunta connivenza della stessa con il potere della Banca popolare di Vicenza”. In effetti, quando la banca è andata in default ci si è chiesti perchè la magistratura non si fosse accorta di quanto stava accadendo, nonostante le inchieste aperte nel 2001 e nel 2009. Gi avvocati Oreste Dominioni, Lino Roetta, Giovanni Manfredini, Enrico Maria Ambrosetti e Nerio Diodà, avevano puntato il dito contro il procuratore Antonino Cappelleri (arrivato a Vicenza da pochi anni), per alcune sue dichiarazioni alla Commissione d’inchiesta parlamentare e anticipazioni alla stampa di alcuni passaggi dell’inchiesta.
Il secondo punto era costituito dal conflitto tra Procura e ufficio del Giudice per le indagini preliminari, dopo che il gip Barbara Maria Trenti aveva dichiarato Vicenza incompetente in relazione a un troncone dell’inchiesta, finita a Milano. Secondo i legali un segnale di mancanza di serenità è costituita dal fatto che il giudice e la sua famiglia sono finiti sotto scorta. La cornice ambientale era completata, secondo i legali, da una lunga serie di denunce (per atti persecutori, minacce e diffamazione) presentate dall’ex presidente Zonin, di fronte alla cui casa erano, ad esempio, stati scaricati mucchi di letame. Ma non è servito, le udienze proseguono, i sei imputati accusati a diverso titolo di aggiotaggio, ostacolo agli organi di vigilanza e falso in prospettazione, verrano giudicati nella stessa città dove la banca, un tempo potente, è miseramente collassata.