Giustizia & Impunità

Processo Spada, Angelo e Domenico condannati in appello per usura ed estorsione

La sentenza emessa nell’ottobre 2016 dal tribunale penale riceve dunque il bollo anche dei giudici di secondo grado. La sentenza emessa nell’ottobre 2016 dal tribunale penale riceve dunque il bollo anche dei giudici di secondo grado

Condanne confermate in appello per Angelo e Domenico Spada, padre e figlio sotto processo per l’accusa di usura ed estorsione. La II Corte d’appello capitolina, presieduta da Mario Frigenti, ha inflitto 8 anni di reclusione ad Angelo Spada e 7 anni al figlio Domenico, conosciuto come ‘Vulcano‘ ed ex campione del mondo di pugilato nella categoria Silver Wbc. Condanne confermate anche per Antonietta Casamonica ed Antonietta Spinelli – rispettivamente a cinque anni (la prima) e tre anni e quattro mesi (la seconda) – imputate per un altro episodio specifico. La sentenza emessa nell’ottobre 2016 dal tribunale penale riceve dunque il bollo anche dei giudici di secondo grado.

I fatti contestati erano due episodi di usura ed estorsione commessi tra il 2009 e il 2012. Il primo emerse dalle dichiarazioni di Fabio Del Gaudio, un commerciante che nel 2013 denunciò il pugile (poi arrestato l’anno successivo) per avere preteso da lui l’intestazione di un immobile del valore di 400mila euro, a fronte di un prestito di 140mila. Anche Angelo Spada, il padre di Domenico, secondo l’ipotesi accusatoria ebbe un rullo nella vicenda: capendo le difficoltà del negoziante, gli avrebbe imposto di lavorare come garzone nella sua tabaccheria, di fatto espropriata. Un’imposizione decisa dopo che Del Gaudio aveva già consegnato ai due Spada 72mila euro in contanti. Il processo d’appello ha anche ricostruito le vicende che hanno visto coinvolte Antonietta Casamonica e Antonietta Spinelli, ritenute responsabili del reato di usura nei confronti di Del Gaudio per due prestiti precedentemente richiesti, riscossi e in parte ceduti ai due Spada.

Per l’altro episodio, secondo l’ipotesi accusatoria gli Spada ‘pressarono‘ un imprenditore, Salvatore Merosi, che aveva ricevuto 40mila euro in contanti, impegnandosi a restituirne 70mila. Per l’accusa, il costruttore, dopo essere stato malmenato, avrebbe eseguito lavori di ristrutturazione gratuiti nella casa che aveva ceduto al pugile a 100mila euro, nonostante valesse il doppio.
Condannati già in primo grado, i quattro imputati si sono visti confermare anche in appello la sentenza pronunciata in tribunale.