La capogruppo democratica Carla Padovani che si è associata al Carroccio sulla mozione che assegna nuovi fondi ai gruppi pro vita ha un passato politico che parte dalla Margherita per poi arrivare all'Udc e quindi al Pd. I colleghi ora prendono le distanze e chiedono le sue dimissioni
Ma come è possibile che la capogruppo del Partito democratico in consiglio comunale a Verona abbia votato a favore di una mozione che promuove il capoluogo scaligero a “città della vita” e approva finanziamenti ad associazioni antiabortiste (tra cui il progetto regionale “Culla segreta”)? Adesso che la frittata è fatta, più del voto promosso da Lega e centrodestra (un chiaro segnale al mondo integralista che ha appoggiato il sindaco Federico Sboarina, non a caso uno dei sei firmatari) fa clamore la decisione di Carla Padovani di votare in senso contrario rispetto al suo gruppo (e all’insaputa degli altri) e rispetto alla linea della tradizione della sinistra italiana che della legge che regolarizza l’aborto ha sempre fatto una bandiera dei diritti civili.
Non è un incidente di percorso quello che è accaduto nella notte in consiglio comunale a Verona, mentre le attiviste del movimento femminista «Non Una di Meno» vestite da ancelle (come i costumi della serie Tv «Handmaid’s Tale») manifestavano nella sala, prima di essere fatte allontanare dall’aula. E’ un episodio che dimostra lo stato di confusione in cui si trova il Partito democratico, al di là delle dichiarazioni postume, e di come la rigorosa selezione della classe dirigente sia soltanto un vecchio ricordo. Già, perché Carla Padovani ha alle spalle un percorso politico abbastanza particolare. Eletta consigliera per la Margherita con la giunta Zanotti, dopo quella esperienza si ricandidò con l’Udc, ma non venne eletta. Nell’ultima campagna elettorale si è presentata ai vertici del Pd veronese offrendo la propria candidatura. Nessuna obiezione anche perché si è sempre distinta per iniziative nel sociale.
Ma una lampada avrebbe dovuto accendersi quando fu preparato un video di propaganda in cui venivano riprese due donne, Luciana e Maura, che venivano unite in unione civile dal senatore del Pd Vincenzo D’Arienzo. “Era un video importante, riguardante una battaglia civile del partito. Io stesso avevo celebrato quell’unione – ricorda il senatore – eppure la Padovani, che appariva in qualche immagine, pretese che quelle parti fossero tolte”. Non voleva confondersi con la linea del Pd sui temi cosiddetti etici, su cui i cattolici sono molto sensibili.
A Verona il peso del mondo cattolico è molto forte in politica. Non è un caso che siano numerose le associazioni attive dell’integralismo. Evidentemente la capogruppo del Pd ha ritenuto di far riferimento a quel mondo. Alla domanda perché, alla luce di questi fatti, sia stata eletta capogruppo in consiglio comunale, dal Pd esce una spiegazione sconcertante. E’ stata il frutto dei veti incrociati (tra quattro gatti) che hanno impedito la scelta di un capogruppo diverso tra i consiglieri comunali, ovvero il giovane Federico Benini che era risultato il primo per preferenze, Elisa La Paglia, indicata dalla segreteria e Stefano Vallani. Su La Paglia ci fu un veto. Lo stesso accadde su Benini. Il risultato fu un compromesso. Ovvero, Carla Padovani.
In questa occasione, nessuno dei consiglieri comunali del Pd è stato informato dalla capogruppo della sua intenzione di voto sulla delicata mozione. Pare, invece, che nella maggioranza di centrodestra qualcuno sapesse che stava per scoppiare il bubbone. “La base è disorientata, ho ricevuto decine di telefonate di protesta per quello che definire un errore è soltanto un eufemismo. – continua il senatore D’Arienzo – Per questo, a titolo personale, come esponente del Pd, ho chiesto le dimissioni del capogruppo. Ma mi pare chiaro che il voto degli altri tre consiglieri l’abbiano già di fatto sfiduciata”.
E l’interessata? “Confrontiamoci, darò una spiegazione” ha detto ai colleghi in vista di un incontro del gruppo e del partito cittadino che avverrà in tempi brevi. Intanto è arrivata la scomunica da tutti i massimi esponenti del Pd. “Siamo allibiti, la destra a Verona ci riporta al Medioevo” dice il segretario regionale Alessandro Bisato “questa è la posizione ufficiale del Pd veneto, al di là di qualsiasi presa di posizione personale”. Il deputato Diego Zardini: “Mozione illiberale, misogina e antistorica”. La deputata Alessia Rotta: “E’ uno schiaffo alle donne”. Valeria Fedeli: “Una brutta pagina per le donne, indigna che dopo quarant’anni ci sia ancora chi cerca di smantellare una legge come la 194, ottenuta grazie anche alla grande mobilitazione delle donne italiane”. L’onorevole Giuditta Pini: “Non credo sia una persona che possa stare nel Pd”.