Nata il 15 ottobre 2017 su Twitter, dopo l’invito della produttrice e attivista statunitense Alyssa Milano a reagire allo scandalo Harvey Weinstein, la campagna di sensibilizzazione continua a crescere e convincere sempre più persone a denunciare gli abusi subiti
Ha solo un anno, eppure è arrivato persino a far ballare la poltrona di giudice della Corte Suprema statunitense quasi certamente destinata a Brett Kavanaugh, in questi giorni indagato dall’Fbi con l’accusa di molestie sessuali da parte di tre donne. È il movimento #metoo, nato il 15 ottobre 2017 su Twitter, dopo l’invito della produttrice e attivista statunitense Alyssa Milano a reagire allo scandalo Harvey Weinstein (in particolare dopo il racconto scioccante di Ashley Judd). Invitando le donne a farlo rispondendo al suo Tweet con il racconto della violenza subita e, insieme, l’hashtag #metoo.
L’hashtag in realtà era stato creato nel 2006, con riferimento soprattutto a violenze su donne di colore, dall’attivista, e successivamente convinta animatrice del movimento #metoo, Tarana Burke, convinta che le donne debbano sentirsi meno sole e smettere di provare vergogna” e che per questo sia necessaria un’educazione contro la violenza sessuale che “educhi le bambine fin da piccole a dire no al contatto sessuale non voluto e a denunciare un comportamento predatorio”.
Nelle ore successive accade qualcosa di inaspettato: decine di migliaia di persone retwittano il messaggio della Milano, mentre l’hashtag corre su Facebook e migliaia di donne, ma anche uomini, raccontano gli abusi subiti. I numeri crescono ancora e nelle settimane che seguono una serie di attrici celebri- tra cui Asia Argento, una delle principali accusatrici di Weinstein, e poi Gwyneth Paltrow, Ashley Judd (la prima a denunciare Weinstein), Uma Thurman, Salma Hayek, Angelina Jolie, Cate Blanchett e Mira Sorvino aderiscono al movimento del #metoo. Le accusatrici di Weinstein risulteranno poi essere quasi cento.
Attori, registi, fotografi. E poi chef, giornalisti, calciatori
Gli eventi si susseguono vertiginosi. Sotto accusa finiscono personalità celebri come l’attore Kevin Spacey, che pur scusandosi con il giovane Anthony Rapp che lo aveva denunciato per molestie e dichiarandosi gay, viene tagliato fuori dalla nota serie House of Cards. A novembre è la volta di Louis C.K., popolare comico statunitense, accusato da cinque donne. Mentre i suoi show vengono cancellati, Louis C.K. ammette di aver “abusato irresponsabilmente del suo potere” e dichiara di volersi prendere una pausa di riflessione. Nei mesi successivi non si conteranno gli uomini celebri accusati di molestie. Per citare i più celebri: l’attore Dustin Hoffman; il produttore Brett Ratner, accusato da più donne; il fotografo Terry Richardson, escluso per questo da Condé Nast International; e i fotografi Bruce Weber e Mario Testino, chiamati in causa da modelli maschi; gli attori Ben e Casey Affleck; il regista Woody Allen, accusato dalla figlia Dylan Farrow; ancora Mike Tyson; il medico della nazionale americana di ginnastica Larry Nassar, condannato per violenza sessuale a minimo 40 anni di prigione per aver abusato di oltre cento atlete donne e bambine; il regista Jason Mojica, lo chef Mario Batali; il calciatore argentino Jonathan Fabbro; il direttore d’orchestra James Levine, sospeso dal Metropolitan Opera di New York; l’attaccante del Milan Robinho, condannato a 9 anni di prigione per violenza sessuale; il giornalista Charlie Rose, sospeso dalla Cbs; John Lassetter, numero uno di Pixar, infine l’attore Ed Westwick, accusato di stupro da 4 donne; John Travolta, a sua volta ferocemente polemico contro il #metoo; Sylvester Stallone; il regista James Toback e il senatore democratico Al Franken, dimessosi dal Senato.
#Metoo “persona dell’anno” secondo il “Time”
Arriva la fine del 2017 e, con una scelta editoriale clamorosa, il settimanale Time dichiara il #metoo “persona dell’anno” e mette in copertina alcune delle sue protagoniste – Ashley Judd, Rose McGowan, Taylor Swift, Susan Fowler, Isabel Pascual, Adama Iwu – celebrate in quanto “silence breakers”, cioè donne che, attraverso la propria testimonianza e in ambito molto diversi hanno rotto il silenzio.
Nel gennaio del 2019 è la volta dei Golden Globes, dove quasi tutte le attrici, riunite dall’iniziativa Times’Up, si presentano vestite in nero per protestare contro la violenza sulle donne (e non mancano le polemiche contro le poche che hanno scelto di non indossare il nero, come Meher Tatna, Blanca Blanco, Barbara Meier). Resta celebre il discorso di Meryl Streep contro Trump e la sua richiesta a Melania Trump di aderire al #metoo.
Sempre a gennaio un altro scandalo coinvolge il mondo della finanza. Proprio il Financial Times racconta che per una serata di beneficenza del Presidents Club a 130 hostess è stato chiesto di indossare abiti succinti e biancheria intima nera per intrattenere gli ospiti, tra cui alcuni politici, e di firmare per il silenzio. Il quotidiano racconta tutto e l’ospedale pediatrico di Great Ormond Street, a cui erano destinati i fondi dell’evento, decide di rifiutare i due milioni di sterline raccolti attraverso “un evento di natura assolutamente inaccettabile”. Ma il #metoo travolge anche un’istituzione come il Premio Nobel: l’Accademia di Svezia decide di annullare il premio per la Letteratura 2018 a causa di presunti abusi sessuali verso 18 donne del marito di un membro dell’Accademia.
Dalla Francia all’Italia, la voce del #metoo si attenua
Dopo la Gran Bretagna – dove in ottobre deflagra lo scandalo molestie con accuse a decine di deputati conservatori del governo May – il #metoo arriva anche in Francia. Qui trova ovviamente consensi – la giornalista Sandra Muller si spinge a lanciare l’hashtag #BalanceTonPorc, denuncia il tuo maiale – ma anche resistenza. Un gruppo di note attrici francesi pubblicano su Le Monde, all’inizio del 2018, una lettera, prima firmataria Catherine Deneuve, per difendere la “libertà di importunare” e di flirtare e accusano il movimento di essere troppo puritano.
In Italia, invece, le denunce sono flebili e gli accusati pochi. Tra di loro Fausto Brizzi, accusato da tredici attrici durante una puntata delle Iene e poi indagato dalla procura di Roma dopo la denuncia di tre ragazze. A reagire, denigrando le attrici, sono soprattutto gli uomini, tra cui il regista e produttore Luca Barbareschi, che definisce “mentecatti” quelli del #metoo. Mentre la Procura chiede l’archiviazione per Brizzi, un altro regista finisce sotto il mirino: è Giuseppe Tornatore, a cui l’attrice Miriana Trevisan rivolge accuse pesanti, senza esiti anche perché il fatto è successo anni prima. Rispetto alle colleghe americane, le reazioni delle attrici italiane sono meno veementi. A febbraio del 2018, 124 donne dello spettacolo, riunite nel movimento “Dissenso Comune”, pubblicano una lettera in cui decidono di puntare il dito non contro “un singolo molestatore” ma contro “l’intero sistema”. La lettera viene accolta positivamente ma anche criticata – in primo luogo dalla stessa Asia Argento – perché le attrici, pur dichiarando di essere state vittime di violenza, decidono di non fare nomi.
Il caso Asia Argento
Ed è la stessa Argento, una delle più coriacee del movimento #metoo a finire sotto accusa. In agosto l’attore Jemmy Bennett sostiene di aver subito violenza sessuale quando era ancora minorenne e rivela di aver ricevuto 380.000 dollari da Asia Argento in cambio del silenzio. L’attrice è travolta dallo scandalo, Sky decide di interrompere bruscamente la collaborazione come giudice di X Factor. Lei si difende pubblicamente qualche giorno dopo l’accusa e poi domenica 30 settembre in tv, ospite di Massimo Giletti. Ma la scelta di Sky appare irremovibile. Proprio in questi giorni, il settimanale Der Spiegel pubblica la testimonianza di Kathryn Mayorga, un’insegnante che racconta di aver ricevuto 375.00 dollari in cambio di silenzio su un rapporto non consensuale avvenuto con Cristiano Ronaldo nel 2009.