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Giustizia & Impunità - 7 Ottobre 2018
La confessione di Lucano: “Nella Calabria delle ecomafie arrestano me. Rubato? Mai, mio padre mi aiuta ad arrivare a fine mese”
“Non mi sono pentito per niente”. Non si arrende il sindaco di Riace, Mimmo Lucano. È ancora ai domiciliari per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perché coinvolto nell’inchiesta “Xenia” coordinata dalla Procura di Locri. Non ci sta, però, a passare per delinquente, per un sindaco che ha sfruttato l’accoglienza per fare business. Nel giorno in cui fuori dalla sua abitazione si sono ritrovate oltre 4mila persone per manifestargli solidarietà, Mimmo “u Curdu” reagisce. Saluta tutti con il pugno chiuso dalla finestra della sua cucina e risponde alle accuse dei suoi detrattori. Tutto è partito da una relazione negativa della prefettura che, subito dopo ha portato a “una denigrazione del modello Riace soprattutto da parte di una stampa legata a un’idea politica che da lì a poco avrebbe rappresentato l’idea politica del governo italiano. Veniva scossa tutta una comunità che aveva immaginato un futuro possibile a Riace”.
“Uno degli obiettivi – aggiunge Lucano – era quello di indebolire e dimostrare che Riace era come tutti gli altri. Il gip ci ha messo 20 secondi a capire che non c’è la frode allo Stato. Ormai non ho più nulla da perdere, cosa mi rimane? Ma se io dovevo approfittare dei soldi, non potevo aiutare i miei familiari che vivono in condizioni di indigenza. Mia moglie è iscritta nell’elenco delle famiglie povere di Siena, i miei figli hanno bisogno di aiuto e a me mi aiuta mio papà ad arrivare alla fine del mese?. Gliel’ho detto anche al gip: mi state arrestato per questo in una Regione controllata dalle mafie e diventata la pattumiera d’Europa che qui scarica i rifiuti tossici? Devo pagare io che ho cercato di costruire un’opportunità per il mio territorio”.