Il corteo fino a Trastevere. In piazza molte voci per una sola idea: un Paese civile deve riconoscere a chi contribuisce alla diffusione e alla produzione della cultura una sua dignità. “Non esiste nessun futuro per questo Paese senza cultura”
Margherita e Marta fanno parte dell’Orchestra dell’Opera di Roma. Caterina e Laura del Coro del teatro Regio di Torino. Max del teatro lirico di Cagliari. Chiara e Patrizia del coro dell’Arena di Verona. Ma ci sono anche Alessandro e Susanna, che fanno gli archeologi. Livia e Marco, restauratori e Ludovica e Sandra, attrici. Margherita e Paolo sono guide turistiche. Sono loro i protagonisti della manifestazione per la Cultura e il Lavoro che si sono dati appuntamento sabato a Roma. Fin dalla partenza del corteo a piazzale Ostiense, la pioggia li ha accompagnati. Quasi sempre, fino al palco in piazza Mastai, a Trastevere. Bandiere di Facciamo la conta, il movimento di attori e attrici professionisti, del Comitato nazionale delle Fondazioni Lirico sinfoniche, ma anche di Potere al popolo, di Possibile e di SI. E poi gli striscioni di sindacati, associazioni, gruppi organizzati.
“L’80% degli italiani nell’ultimo anno non è mai andato a teatro. La cultura non è un lusso”, aveva scritto uno studente su un cartello di fortuna. E poi quello di tre ragazzi: “Italia ti fai bella con i nostri lavori ma per noi restauratori sono dolori”. “Sulla nostra pelle”, lo striscione del comitato lavoratori cinema chiusi. Insomma niente slogan, ma pensieri per definire precarietà. Una grande manifestazione per chiedere che la cultura non sia ancora la cenerentola del Paese e del Governo di turno. Per ripetere che il lavoro culturale non sia retribuito a singhiozzo. Perché “la cultura non è volontariato, è lavoro e deve essere pagato”, come hanno gridato i ragazzi di “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”. Ma anche perché il “Lavoro va pagato, non più precariato”, come hanno ripetuto tanti altri. A partire dai Precari uniti dei Beni culturali, lavoratori da decenni in uffici sensibili per gli scavi, la tutela e la manutenzione del patrimonio storico-artistico-archeologico.
Chi si è alternato ai microfoni in Piazza Mastai lo ha detto. Tanti voci per declinare la stessa idea. Un Paese civile deve riconoscere a chi contribuisce alla diffusione e alla produzione della cultura una sua dignità. “Non esiste nessun futuro per questo Paese senza cultura”, secondo Leonardo Bison di “Mi riconosci?”. “E’ necessario scrivere uno Statuto dei lavoratori dei beni culturali”, per Federico Trastulli, della UIL Pubblica amministrazione. Per Emanuela Bizi, segretaria nazionale Slc Cgil “la cultura deve essere lo scheletro del Paese”, ma un “un governo che pensa che un migrante possa essere un competitor per chi è alla ricerca di una occupazione”, non sembra averlo capito.
Accanto a chi ha parlato persone di ogni età perché la precarietà non fa distinzioni. Abbraccia tutti, indistintamente. Fra alcuni volti noti, tra gli attori, hanno fatto capolino anche Ennio Flaiano, Ettore Petrolini, Giuseppe Guerzoni e Soren Kierkegaard. Evocati, attraverso alcune citazioni, dai rappresentanti di Facciamo la conta.
“Il nostro é un Paese che non ama la cultura e non ama chi la fa, in generale i governi non l’amano perché la cultura è di solito contro il potere”. Le parole che Mario Monicelli pronunciò il 20 luglio 2009, alla manifestazione del mondo dello spettacolo contro il taglio al Fus sembrano attuali. La convinzione di chi ha manifestato a Roma proprio quella: siamo un Paese che parla spesso di cultura, ma non la coltiva.